I costi ambientali della rivoluzione tecnologica secondo le Nazioni Unite
L'Onu lancia l'allarme sui costi ambientali della tecnologia, suggerendo alla politica come limitarli e renderli un'opportunità
La rivoluzione tecnologica ha costi ambientali altissimi che stiamo sottovalutando. Sono le conclusioni del nuovo report dell’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo. Questo non vuol dire, spiegano gli osservatori dell’agenzia commerciale dell’Onu, che lo sviluppo delle nuove tecnologie vada fermato.
Vanno però introdotti alcuni correttivi. Per ridurre i costi dell’inquinamento ambientale (acqua, energia, emissioni, materie prime) e per rendere la rivoluzione tecnologica un’opportunità anche per i Paesi in via di sviluppo.
I costi ambientali più evidenti: acqua e energia
Sono 21,1 i milioni di metri cubi di acqua che, nel 2021, i data center e gli uffici di Google hanno utilizzato. 6,4 milioni quelli impiegati da Microsoft. Mentre le sole ore dedicate alla formazione di ChatGPT-3 hanno necessitato di oltre 700mila litri di acqua pulita. E poi c’è la domanda di energia. Il settore su cui si concentra la maggior parte delle attenzioni è quello delle criptovalute: l’anno scorso sono stati consumati 121 Terawattora di energia per il mining di bitcoin. Un dato 34 volte superiore rispetto a quello che si era registrato nel 2015. Più del consumo annuale di due economie avanzate come quelle di Belgio o Finlandia.
Nel 2022 i data center hanno consumato, a livello globale, 460 Terawattora di energia. Per rendere idea della quantità che rappresentano, basti pensare che è quanto ogni anno consumano 42 milioni di case negli Stati Uniti. Nei cinque anni dal 2018 al 2022 il consumo energetico dei 13 più grandi data center al mondo è raddoppiato. E lo sviluppo precipitoso delle nuove tecnologie ci consente di prevedere che, già nel 2026, queste cifre raddoppieranno ancora.
Messi in fila, i dati sulla domanda di risorse per sostenere la rivoluzione tecnologica cui stiamo assistendo rendono chiari i suoi costi ambientali. Ma non si tratta solo di consumo di acqua o di energia, appunto. Come riportato dal rapporto sull’economia digitale, anche la domanda di materie prime sta diventando problematica. Per costruire un computer di 2 chilogrammi, servono 800 kg di materiali.
La digitalizzazione ha una base altamente materiale
Ormai sono 5,4 miliardi le persone che hanno accesso a Internet. Le vendite online, che appena nel 2017 valevano 17mila miliardi di dollari, nel 2022 hanno raggiunto quota 27mila miliardi in 43 Paesi. Se nel 2000 compravano meno di 100 milioni di persone, nel 2021 erano 2,3 miliardi. Cresce, con gli acquirenti, la mole dei rifiuti elettronici, altro aspetto dei costi ambientali della rivoluzione tecnologica.
Tra il 2010 e il 2022 la spazzatura digitale ha registrato un aumento del 30% e ora pesa 10,5 milioni di tonnellate. Anche in questo caso si conferma una distribuzione diseguale di costi e benefici. Nei Paesi sviluppati ne produciamo 3,25 kg a persona ogni anno. In quelli in via di sviluppo appena 1 kg. Nei Paesi meno sviluppati, la quota è di 0,21 kg a testa.
È vero, sostiene l’agenzia, che la rivoluzione tecnologica in atto può ridurre l’utilizzo della carta e migliorare l’efficienza energetica. Ciò non basta, però, a compensare gli elevati costi ambientali. Non si tiene conto, ha spiegato Rebeca Grynspan, alla guida dell’Unctad, di quanto la digitalizzazione abbia una base altamente materiale. In termini di emissioni globali di gas climalteranti, il settore è responsabile di una quota che va dall’1,5% al 3,2%. Equivalente a settori come il trasporto aereo e quello marittimo.
Come rendere la rivoluzione digitale un’opportunità per i Paesi in via di sviluppo
C’è infine un ultimo dato relativo alle materie prime: la domanda di minerali critici. Stando ai dati della Banca Mondiale, tra i costi ambientali della rivoluzione tecnologica dobbiamo tener conto della domanda di grafite, litio e cobalto. Entro il 2050 potrebbe aumentare del 500%. I Paesi in via di sviluppo sono una fonte essenziale per le materie necessarie alla transizione ecologica. Solo in Africa c’è il 55% della riserva globale di cobalto, il 47,65% di quella di manganese, il 21,6 di grafite, il 5,9% di rame, il 5,6% di nichel e l’1% di litio.
«L’aumento della domanda di minerali critici rappresenta un’opportunità per i Paesi in via di sviluppo ricchi di risorse», ha spiegato Grynspan. «Ma la tecnologia deve essere trasferita a quei Paesi e deve diventare più efficiente per essere compatibile con l’ambiente e con gli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici».
Come si fa a massimizzare questa opportunità di sviluppo? Il rapporto si spinge a elaborare alcuni scenari. Internalizzare lavorazione e produzione potrebbe essere la soluzione per i Paesi in via di sviluppo per assicurarsi una quota dell’economia digitale globale. Così aumenterebbero le entrate governative, si potrebbe finanziare lo sviluppo, creare posti di lavoro, migliorare il tenore di vita.
Come ridurre i costi ambientali della rivoluzione tecnologica
Il report Unctad non si limita quindi ad analizzare i costi ambientali della rivoluzione tecnologica, ma propone suggerimenti per costruire un’economia digitale equa e responsabile. Fondamentale sarà utilizzare modelli di economia circolare: ridurre i rifiuti digitali con riciclo, riutilizzo e recupero. Le risorse vanno ottimizzate, con la creazione di piani che rendano più efficiente l’utilizzo di materie prime.
Per quanto riguarda la domanda di energia, questa va bilanciata con lo sviluppo delle rinnovabili: investire nel settore, sostenere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie più efficienti e di pratiche digitali sostenibili. Uno dei campi di intervento più urgenti è quello normativo: standard e regole ambientali vanno rafforzati.
Per evitare, infine, che la rivoluzione tecnologica comporti costi ambientali distribuiti in maniera diseguale, l’agenzia propone di promuovere maggiore cooperazione internazionale. I Paesi, sostiene, devono lavorare insieme per garantire un accesso equo a tecnologie e risorse, affrontando insieme le questione relative ai rifiuti e al nuovo paradigma estrattivo globale.