Crisi, pandemia, guerra e austerità: l’impatto sul debito dell’Africa
Per le nazioni africane la crisi globale rischia di risultare catastrofica. A meno che non si sfrutti l'occasione per cambiare paradigma
Mentre crisi climatica e pandemia continuano a ostacolare lo sviluppo africano, il 2023 porta con sé una nuova sfida per l’economia subsahariana: quella del debito insostenibile.
Quest’anno il debito pubblico sarà il problema maggiore che i Paesi della regione dovranno affrontare. A rendere molto rischiosa la sostenibilità di quest’ultimo sono, in generale, livello di sviluppo, struttura e fragilità dell’economia subsahariana. Tra i Paesi più indebitati, Sudan, Mozambico, Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia. Alla lista, inoltre, si aggiungono Kenya, Nigeria e Ghana che, come Zambia ed Etiopia, si è mosso a dicembre per ottenere una ristrutturazione delle passività.
19 dei 35 Paesi africani a basso reddito non in grado di fronteggiare il peso del debito pubblico
A ottobre 2022 è uscito il rapporto del Fondo monetario internazionale (Fmi) sul panorama economico e socio-finanziario della regione subsahariana, intitolato “Living on the edge”. Il documento è stato presentato da Abebe Aermo Selassie, responsabile dell’Fmi per l’Africa, il quale ha dichiarato che 19 dei 35 Paesi a basso reddito della regione non erano in grado di fronteggiare, o erano a rischio di totale inadempienza del debito. Oggi il debito pubblico ha superato il 60% del PIL. Livelli simili non si registravano dai primi anni 2000, prima dell’impatto della Heavily Indebted Poor Countries Initiative (HIPC), promossa dal Fondo Monetario Internazionale dal 1996.
Dopo il periodo di espansione delle economie subsahariane, tra fine anni Novanta e il 2014, dal 2015 l’andatura economica della regione si è fatta più lenta. E, non più tenuto a freno da una crescita sostanziosa, il rapporto debito-Pil è cresciuto in maniera netta. Negli ultimi due anni, tuttavia, complice l’impatto economico della pandemia, l’aumento del rapporto è stato esponenziale.
Fondi privati al posto del debito multilaterale a basso costo
La sostituzione del debito multilaterale a basso costo con fondi privati ha causato un aumento dei costi di servizio del debito, nonché un maggior rischio di rollover. Anche guardando al futuro le prospettive della regione non sembrano rosee. Se da un lato, infatti, gran parte del debito attuale è stato contratto in un periodo di tassi di interesse storicamente bassi, dall’altro, l’inevitabile normalizzarsi dei tassi globali, dovuto all’inasprimento delle condizioni finanziarie, comporterà un aumento dei costi dei debiti esterni. Appesantendo ulteriormente le dinamiche del debito dell’Africa subsahariana
«Le origini del debito risalgono ai tempi del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato soldi sono gli stessi che ci hanno colonizzato», affermava Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, nel suo “Discorso sul debito” pronunciato ad Adis Abeba il 21 luglio 1987, in occasione del vertice dell’Organizzazione dell’unità africana. «Il debito nella sua forma attuale, controllata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a logiche non nostre», continuava il leader.
Il peso della settorialità economica dei Paesi in via di sviluppo
Il debito non rappresenta solo un problema dell’Africa, ma riguarda molti Paesi del Sud del mondo. Stefano Prato, direttore generale di Society for International Developement, spiega che la crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo affonda le sue radici, da un lato, nel colonialismo e, dall’altro, nell’organizzazione produttiva dell’economia globale. Che ha assegnato ai Paesi a basso reddito il solo ruolo di produzione ed esportazione di materie prime. Rendendo le loro economie settoriali, non diversificate e incapaci di crescita. Tale specializzazione economica nell’esportazione di materie prime fa sì che questi Paesi debbano importare tutto il resto, rendendo il ricorso al debito necessario per supplire a un’incapacità di generazione fiscale sul territorio.
La crisi del debito nell’Africa subsahariana si inserisce in uno scenario socio-economico già di per sé incerto. Il rapporto dell’Fmi riporta che nel 2022 la ripresa della regione si è bruscamente interrotta. Se la crescita del Prodotto interno lordo nel 2021 si attestava attorno al 4,7%, nel 2022 la crescita è diminuita di oltre un punto percentuale.
Il tasso di inflazione nella regione ha raggiunto livelli mai visti prima. Con i problemi nelle catene di approvvigionamento globali, conseguenza della guerra in Ucraina, le economie della regione stanno vivendo un forte aumento dei prezzi di beni alimentari ed energetici essenziali. E le società sono sempre più esposte a tensioni e disordini sociali, dovuti al malcontento di una popolazione che patisce da anni povertà, crisi alimentare e malnutrizione. L’attuale sconvolgimento economico, inoltre, arriva quando molti Paesi stanno ancora affrontando una pandemia che sembra non essere ancora del tutto conclusa, con solo il 21% della popolazione totale completamente vaccinato.
Qualche possibile soluzione
Al fine di superare la crisi attuale e di assicurare la regione da possibili shock futuri, l’Fmi ha individuato una possibile soluzione alla questione del debito. Attraverso un potenziamento della mobilitazione delle entrate, dando la priorità alla capacità e all’efficienza di investire nella spesa pubblica, l’istituzione finanziaria ritiene che le autorità dovranno perseguire un consolidamento fiscale al fine di preservare la sostenibilità, costruire maggiore resilienza e assorbire costi di interesse più elevati.
Tuttavia, Stefano Prato osserva che una risoluzione del problema dovrebbe affrontarne maggiormente le radici. Alterando il sistema di dipendenza multipla che rende il ricorso al debito necessario per i Paesi in via di sviluppo. Attraverso la creazione di un nuovo consensus economico globale, infatti, si potrebbe garantire a questi Paesi una crescita economica nazionale capace di generare un gettito fiscale adeguato.