Dalla tutela del clima dipende il 20% del Pil
Climate Change sull'economia: è già costato 306 miliardi in disastri naturali nel 2017 e farà crollare il Pil. Tutti gli articoli dal dossier sui diritti umani.
Unanimi le analisi sull’impatto del climate change sull’economia: il Prodotto interno lordo crollerà. Swiss Re calcola: i disastri naturali causati dall’uomo sono costati 306 miliardi di dollari solo nel 2017
«Se non agiremo in fretta, i costi e i rischi globali legati ai cambiamenti climatici porteranno a perdite pari a non meno del 5% del Pil mondiale. Al contrario, il prezzo che occorrerebbe pagare per fronteggiare il fenomeno, riducendo le emissioni di gas ad effetto serra, potrebbero limitarsi a un solo punto percentuale». Era il 2006 e Sir Nicholas Stern – ex capo economista della Banca Mondiale e, all’epoca, direttore della divisione Bilancio e Finanze pubbliche presso il Tesoro britannico – presentava il primo rapporto sull’impatto dei cambiamenti climatici commissionato da un governo non a dei climatologi ma a un economista. Stern prese in considerazione l’impatto sulla produzione dello sfruttamento delle risorse naturali, quantificandolo appunto in cinque punti percentuali di Pil mondiale. Quota che, secondo i calcoli dell’esperto britannico, crescerà al 14% tenendo conto delle perdite in termini di vite umane. E al 20% prendendo in considerazione lo scenario più catastrofico, con effetti devastanti soprattutto nei Paesi poveri. Si tratterebbe di qualcosa di paragonabile all’impatto negativo che hanno avuto le due guerre mondiali, sommate tra loro.
UNA LOTTA CONTRO IL TEMPO
Dal 2006 è passato più di un decennio e molte altre stime sono state effettuate. In particolare, nel 2014, quella dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo di esperti sull’evoluzione del clima. Anche in questo caso le conclusioni sono state senza appello: più il mondo tarderà a fare ciò che è necessario per salvaguardare il Pianeta, più il Prodotto interno lordo mondiale ne risentirà. L’IPCC indica un calo compreso tra 1 e 4 punti percentuali nel 2030, tra 2 e 6 nel 2050 e tra 3 e 12 alla fine del secolo, secondo i diversi scenari che sono stati presi in considerazione. Un ulteriore rapporto, intitolato Energy Darwinism II, è stato pubblicato dal colosso bancario Citigroup nel settembre del 2015. In questo caso sono stati messi a confronto due possibili scenari: il caso del “business as usual”, ovvero ciò che accadrà se non si dovesse agire in alcun modo, e quello che prevede una limitazione della crescita delle temperature medie globali sulla superficie degli oceani e delle terre emerse a un massimo di 2 gradi centigradi, entro il 2100, rispetto ai livelli pre-industriali. Secondo l’analisi dell’istituto di credito, il costo dell’azione di qui al 2040 (190,2 miliardi di dollari) e quello dell’inazione (192 miliardi) sono quasi identici. “Nel caso dello scenario d’azione – precisa il testo – occorrerebbe stanziare dei capitali nei primi anni, ma il ritorno sugli investimenti sarebbe positivo: compreso tra il 3 e il 10% nel 2035”. Lo stesso rapporto parla di perdite pari a 44mila miliardi di dollari in caso di temperatura in crescita di 2,5 gradi centigradi alla fine del secolo; cifra che raggiungerebbe i 72mila miliardi qualora si arrivasse a +4,5 gradi.
IMPRESE ASSICURATIVE PREOCCUPATE Nel 2013, inoltre, la Banca Mondiale e il riassicuratore Munich Re pubblicarono uno studio intitolato Integrating Climate and Disaster Risk into Development, nel quale spiegavano che proprio a causa dei cambiamenti climatici originati dalle attività umane è ipotizzabile un aumento nel tempo delle catastrofi naturali. Queste ultime hanno già ucciso 2,5 milioni di persone tra il 1980 e il 2012 e hanno provocato danni per 3.800 miliardi di dollari, soprattutto nei Paesi emergenti. Un trend confermato dall’ultimo rapporto della compagnia assicurativa elvetica Swiss Re, che ha quantificato in 306 miliardi di dollari (256 miliardi di euro) il costo delle catastrofi naturali e dei disastri causati dall’uomo nel corso del solo 2017. Una cifra in deciso aumento rispetto ai 188 miliardi dell’anno precedente (a causa soprattutto del passaggio degli uragani Harvey, Irma e Maria sulle isole dei Caraibi e sulla costa degli Stati Uniti). Lo stesso studio ha sottolineato come le morti attribuibili alle catastrofi naturali registrate nel 2017 siano state più di 11mila. Si tratta, ovviamente, di dati che comprendono tutti i disastri, anche quelli non dipendenti dalle attività antropiche. Ma la comunità scientifica è ormai quasi unanime nell’affermare che gli eventi estremi si stanno moltiplicando proprio a causa dei cambiamenti climatici, dipesi a loro volta dall’eccesso di concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera. In particolare, la Union of Concerned Scientists ha sottolineato che “a causa dei cambiamenti climatici, si registrano ormai uragani devastanti come Harvey molto più di frequente rispetto al passato”. ✱
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Tutti gli articoli del dossier sono resi disponibili su Valori.it man mano che ci avviciniamo all’inizio del Festival dei Diritti Umani (20 marzo) e Fa’ la cosa giusta! 2018 (23 marzo). Li trovate qui.