Donne “ai posti di comando”, la marcia in più del governare al femminile
Più collaborative, egualitarie e pacifiste. Più attente al sociale e all'ambiente. Lo dimostrano gli studi e gli esempi concreti
I governi guidati da donne sono più democratici, egualitari, pacifisti e meno corrotti. Pensano di più all’ambiente, all’istruzione e in generale alle politiche sociali. Un insieme di luoghi comuni? Potrebbe apparire così. Ogni forma di semplificazione e di schematizzazione porta inevitabilmente ad eliminare molte sfumature. Ma la definizione di queste caratteristiche della leadership femminile è frutto di studi accademici, di statistiche, dell’osservazione di chi da anni analizza la questione gender.
Possiamo insomma dire che ci sono alcune caratteristiche ricorrenti che si ritrovano nei governi guidati da donne, un “plus” femminile che si riscontra nelle donne (poche) che hanno ricoperto incarichi di governo (un fenomeno relativamente recente), grazie al quale sono riuscite a portare innovazione nella gestione di grandi responsabilità politiche. Non sempre in un governo al femminile si ritrovano tali caratteristiche e non necessariamente sono presenti tutte, ma in generale questa è la tendenza.
Lo dimostrano anche le storie delle 10 donne che abbiamo scelto di raccontare, leader politiche o grandi economiste che hanno lasciato il segno e che, seppur in modo diverso l’una dall’altra, hanno dimostrato uno stile che ha fatto la differenza, uno stile femminile appunto.
Lo “stile femminile”
Possiamo dire con certezza che una donna governa un Paese meglio di un uomo? Certo che no. I buoni governanti possono esser uomini o donne. Ma di sicuro possiamo affermare che un governo al femminile ha uno stile diverso. Peccato che in poche abbiano potuto dimostrarlo. E che in molti casi siano state comunque circondate da un apparato politico prevalentemente maschile, che ha attenuato le loro potenzialità di agire in modo “femminile”.
«Esiste uno stile femminile anche in politica, che riflette le differenze che le donne in generale hanno rispetto agli uomini. Ma non sono differenze innate, sono frutto di un condizionamento sociale e culturale. Lo dimostra anche il fatto che l’essere donna cambi radicalmente a seconda dell’area geografica di riferimento», precisa l’economista Giovanna Vertova, docente all’Università di Bergamo, esperta di Economia di genere. «Fin da piccole ci insegnano a comportarci “da femmine”. Da grandi ci portiamo questo bagaglio culturale. Stereotipi che pian piano di stanno riducendo, ma che esistono ancora».
Ma cosa significa quindi governare al femminile? Valori ha tentato di rispondere a questa domanda con l’aiuto di alcune esperte. Donne, che da punti di vista diversi, hanno dedicato anni alla questione di genere.
Lo sguardo alle politiche sociali
«Le ricerche mostrano che un governo femminile fa la differenza soprattutto in campo sociale», spiega Chiara Saraceno, nota sociologa, ha insegnato Sociologia della famiglia all’università di Torino, dove è stata anche presidente del Centro interdisciplinare di studi sulle donne. «Naturalmente ciò è possibile se i numeri lo consentono, se ci sono cioè numerose donne all’interno di un governo e se occupano ministeri strategici. Gli studi dimostrano che effettivamente, laddove c’è un numero consistente di donne in un governo, le iniziative politiche sono diverse, orientate alle politiche sociali, più egualitarie, attente ai bisogni della famiglia. E a beneficiarne, indirettamente, sono anche gli uomini».
Ne sono un esempio l’attuale premier laburista neozelandese, Jacinda Ardern, che ha lanciato iniziative sociali senza precedenti. Ma anche la presidente cilena Michelle Bachelet, che ha regalato al Paese leggi innovative per le donne e per l’istruzione universitaria gratuita. O l’ex prima cittadina di Lampedusa Giusi Nicolini, che ha affrontato con grande umanità e coraggio l’emergenza rifugiati e immigrati.
Al primo posto istruzione e ambiente
Se le donne hanno in mano il portafoglio della spesa pubblica non spendono di più, ma fanno scelte diverse: spostano le risorse sull’istruzione e la tutela dell’ambiente. Sono queste le conclusioni di uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università Bocconi di Milano, intitolato “Let the voters choose women”. Hanno analizzato l’esito elettorale dei Comuni che nel voto del 2016 hanno introdotto la doppia preferenza di genere (la norma prevede di esprimere 2 preferenze, a patto che siano per candidati di 2 generi diversi).
Risultato: la presenza delle donne ai vertici è aumentata nettamente ed è cambiata l’allocazione delle risorse, investendo su istruzione e ambiente.
«Le donne in politica hanno una visione diversa, più di lungo periodo. L’orizzonte maschile invece è più di breve termine ed è condizionato dal desiderio di essere rieletti», spiega Paola Profeta, professore associato di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi di Milano, tra i curatori della ricerca.
Meno corrotte, ma meno rielette
Potrebbe essere proprio questa visione di lungo periodo e il non mettere in primo piano la propria rielezione a far sì che le donne in politica siano meno corrotte. Sono le conclusioni di uno studio condotto in Brasile nel 2016 da due ricercatori italiani, Fernanda Brollo e Ugo Troiano, che hanno analizzato la situazione delle amministrazioni comunali del Paese confrontando quelle con una presenza femminile e quelle prettamente maschili. Risultato: nei Comuni con sindaci donna si verificavano meno casi di corruzione e meno irregolarità nei processi di appalti pubblici. Ma i ricercatori hanno anche rilevato per le donne una minore probabilità di essere rielette.
Uno stile collaborativo
«Lo stile di leadership femminile è tendenzialmente diverso da quello maschile: è uno stile non aggressivo. Le donne nei contesti politici sono più collaborative, apparentemente accomodanti e cercano, se possibile, la mediazione», commenta la Saraceno. «Una possibile spiegazione è che, sapendo di avere meno potere, devono trovare degli alleati», commenta la Saraceno. «Si pensi alla Merkel – continua – che viene considerata poco femminile. In realtà credo che il suo stile sia molto femminile, con un’elevata capacità di tenere insieme posizioni lontane, di negoziare».
Più egualitarie
Considerare la questione di genere è fondamentale nelle scelte politiche, soprattutto pensando a un obiettivo di maggiore eguaglianza sociale. «Molti fenomeni cruciali da un punto di vista sociale ed economico, come la disoccupazione, la povertà, lo sviluppo economico, non sono neutrali dal punto di vista del genere, impattano cioè in modo diverso su uomini e donne», spiega Linda Laura Sabbadini, dirigente all’Istat, pioniera delle statistiche e degli studi di genere. «Se la pianificazione e la programmazione vengono impostate senza considerare il genere, uomini e donne finiscono per beneficiare in modo diseguale degli effetti delle politiche. Le statistiche di genere rappresentano, dunque, una base fondamentale per l’azione politica».
Un buon governante quindi dovrebbe tenere in alta considerazione le diverse conseguenze delle proprie decisioni politiche a seconda del genere. Per farlo non necessariamente bisogna essere donna, ma diciamo che una donna ha una sensibilità maggiore verso un’analisi orientata al genere. Quindi è più probabile che un governo con un’elevata componente femminile raggiunga obiettivi maggiormente egualitari.
Lo sottolinea anche Giovanna Vertova: «Non è che automaticamente un uomo debba escludere tematiche di genere (ci sono economisti sensibili a questo), né automaticamente una donna debba occuparsi di questioni di genere (ci sono tante economiste che il genere non sanno cosa sia). Tuttavia un dibattito aperto, meno “machista”, con più donne e più attenzione alle tematiche di genere risponderebbe a questi problemi».
L’impegno per la pace
«Un tratto tipico delle donne in politica è la ricerca della pace. Non vale per tutte le donne, naturalmente, ma la storia dimostra che è una tendenza femminile», spiega Sabina Siniscalchi, da poco nominata presidente di Oxfam Italia, componente del Consiglio di amministrazione di Banca Etica, deputata dal 2006 al 2008 e per 13 anni segretario nazionale di Mani Tese. «Dall’Africa alle banlieue parigine sono molti gli esempi di donne che si sono mobilitate per la pace. Basta pensare anche ai tanti movimenti femminili in aree di conflitto, anche in Europa nella Seconda Guerra mondiale».
Ma sono poche…
Ma ricordiamoci un punto fermo: le donne che sono arrivate ai più alti gradini della politica sono poche. Secondo uno studio del World Economic Forum, su 146 Paesi presi in esame, 56 (il 38%) hanno avuto una donna ai vertici, che abbia ricoperto l’incarico di capo di Stato o di governo per almeno un anno. L’Italia non è tra questi: abbiamo avuto 28 premier, tutti uomini, che hanno presieduto complessivamente 64 governi della Repubblica.
Scendendo di un gradino e parlando di presenza delle donne nei Parlamenti e nei Governi di tutto il mondo (quella che rappresenterebbe la squadra di governo di una donna premier) la situazione non migliora. L’agenzia delle Nazioni Unite per la parità di genere, United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women (UnWomen) ha realizzato una mappa della partecipazione politica delle donne (Women in Politics 2017). Il risultato conferma la situazione: solo il 23,3% dei governanti nel mondo è donna.
…e circondate da uomini
E spesso l’entourage da cui si trova circondata una leader donna è prettamente maschile. «Il problema è il contesto politico in cui una donna si ritrova – continua la Vertova – Ammesso di arrivare a ricoprire incarichi politici di rilievo, di solito una donna si deve scontrare con un sistema maschile e patriarcale, all’interno del quale è difficile affermare la propria identità al femminile. È necessario cambiare la società, a partire dalle scuole fino ai media, al mondo del lavoro, alla stessa pubblicità.
«Parlare di singoli casi di donne che hanno raggiunto i vertici della politica è riduttivo – continua Giovanna Vertova – perché è vero che sono buoni esempi da imitare e la dimostrazione che, a fatica, si può farcela. Ma una donna leader non è la media delle donne. Rispetto a una Marie Curie che ha raggiunto risultati impensabili, preferisco 30 milioni di donne che hanno raggiunto la parità. Trovo più tristemente significativo il fatto che su 76 rettori di universiità italiane solo 2 siano donne».
«Non basta piazzare una donna al governo di un Paese perché le cose funzionino meglio, né per avere politiche che agevolino le donne – precisa la Vertova – Basta pensare a Margaret Thatcher, che ha di fatto distrutto il sistema di welfare britannico. Serve una diversa cultura politica e servono più donne in politica che abbiano una coscienza di genere e un’attenzione al sociale. Serve una trasformazione culturale e sociale, per la quale l’obbligo di “quote rosa” è una condizione necessaria, ma non sufficiente».