Emissioni CO2 2018: mai così alte grazie a Cina e USA
Secondo il Global Carbon Project il 2018 sarà l'anno peggiore per la produzione di gas climalteranti. Oltre a petrolio, carbone e gas pesano incendi e deforestazione
Le emissioni mondiali di CO2 registreranno un nuovo record nel 2018. A dirlo è uno studio condotto dai ricercatori del Global Carbon Project e dell’università dell’East Anglia, secondo cui le emissioni generate dall’uso dei combustibili fossili cresceranno del 2,7% raggiungendo i 37,1 miliardi di tonnellate. Se si aggiungono i 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica che derivano dalla deforestazione e da altre attività umane, il totale per l’anno in corso è di 41,5 miliardi di tonnellate.
Cresce il consumo di carbone
Stando alla ricerca, pubblicata sulla rivista Nature nei giorni in cui in Polonia si sta svolgendo la conferenza Onu sul clima, l’incremento e determinato da «una solida crescita del consumo di carbone per il secondo anno consecutivo, e da una crescita sostenuta del consumo di petrolio e gas». Le emissioni di CO2 erano aumentate anche nel 2017 sebbene in misura inferiore (+1,6%), mentre erano rimaste stabili nei tre anni precedenti, dal 2014 al 2016. A crescere di pari passo con le emissioni è la concentrazione di CO2 in atmosfera. Per 2018 è stimata in 407 parti per milione, 2,3 parti in più del 2017. Il livello è del 45% superiore rispetto al periodo preindustriale.
Da Cina e Usa quasi la metà delle emissioni
La maglia nera delle emissioni 2018 va nuovamente alla Cina, che registra una crescita del 4,7% e da sola genera il 27% della CO2 mondiale. Seguono Usa (15% del totale), India, Russia, Giappone, Germania, Iran, Arabia Saudita, Corea del Sud e Canada. L’Unione Europea, se considerata nel suo complesso, si piazza al terzo posto, con il 10% delle emissioni globali e una flessione dello 0,7%.
Anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA)stima che le economie più avanzate del mondo vedranno quest’anno un aumento dello 0,5% delle loro emissioni del gas serra anidride carbonica (CO2), dopo cinque anni di calo. «In base agli ultimi dato energetici disponibili – scrive la IEA – le emissioni di CO2 dal settore energetico in Nord America, Unione europea e altre economie avanzate dell’Asia orientale crescono, mentre un consumo maggiore di petrolio e gas supera il calo del consumo di carbone. Di conseguenza, l’agenzia si aspetta che le emissioni di CO2 in queste economie cresceranno di circa lo 0,5% nel 2018».
Male anche gli emergenti
Le emissioni di anidride carbonica dal settore energetico nei paesi avanzati erano calate del 3% negli ultimi cinque anni. Quasi 400 milioni di tonnellate in meno. Le cause erano state il rapido declino del consumo di carbone, la crescita delle rinnovabili, la maggiore efficienza energetica. La IEA prevede che quest’anno le emissioni crescano anche nei paesi emergenti. I dati definitivi saranno diffusi a marzo. Ma, scrive l’agenzia, «tutti gli indicatori vanno verso una crescita globale delle emissioni, spinta da un consumo di energia in aumento e una economia mondiale che si espande del 3,7%». La produzione mondiale di anidride carbonica nel 2017 era aumentata dell’1,6%, dopo tre anni di calo dal 2014 al 2016. Per il 2018 la IEA si aspetta «una crescita delle emissioni globali di CO2». Secondo l’agenzia, per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima le emissioni dovrebbero invece scendere dell’1% ogni anno da qui al 2025.
Con taglio CO2 salve un milione di vite l’anno
Raggiungere gli obiettivi di Parigi per la riduzione delle emissioni inquinanti farebbe risparmiare un milione di vite l’anno. Ed economicamente renderebbe almeno il doppio di quanto speso. Lo afferma un rapporto pubblicato dall’Oms e presentato alla conferenza Cop24 in corso in Polonia. L’esposizione all’inquinamento dell’aria, sottolinea il documento, causa 7 milioni di morti l’anno nel mondo. E costa 5,11 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari per i danni connessi alla perdita della salute. Nei 15 paesi che hanno le maggiori emissioni gli impatti sulla salute costano più del 4% del Pil. Mentre per riuscire a raggiungere gli obiettivi enunciati a Parigi servirebbe l’1% del Pil mondiale. «L’accordo di Parigi è potenzialmente il più grande accordo sulla salute di questo secolo» ha sottolineato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. «Ci sono prove evidenti che i cambiamenti climatici stanno già avendo un impatto molto serio sulla vita umana. Minacciano gli elementi di base di cui abbiamo bisogno per una buona salute, l’aria pulita, l’acqua potabile, il cibo e la casa, e metteranno a rischio decenni di progressi nella salute globale. Non possiamo ritardare ulteriormente la nostra azione».