ReCommon, Greenpeace Italia e 12 cittadini fanno causa contro Eni

Si tratta della prima causa civile contro una società di diritto privato in Italia. «L'operato di Eni peggiora la crisi climatica»

ReCommon, Greenpeace e 12 cittadini fanno causa a Eni © Greenpeace Italia

Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani hanno notificato martedì 9 maggio a Eni l’apertura di una causa civile nei confronti della società «per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole», si legge nel comunicato stampa diffuso dalle organizzazioni.

La causa è stata intentata anche nei confronti del ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) in quanto queste due realtà sono azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla multinazionale energetica. E ai quali viene chiesto di adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi. 

Accertare il danno presente e futuro di Eni al diritto umano di vivere in salute

Le due organizzazioni e le cittadine e i cittadini coinvolti nella causa chiederanno al Tribunale di Roma l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata.

Gli attori che hanno intentato la causa chiedono inoltre che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale. Ciò per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi secondo il dettato dell’Accordo di Parigi sul clima.

Il 75% degli investimenti futuri di Eni vanno in combustibili fossili

Le associazioni denuncianti riferiscono che il 25% delle sponsorizzazioni di Eni parlano di sostenibilità, ma la società continua invece a investire nei combustibili fossili. Più precisamente, il 75% degli investimenti futuri sono già destinati agli idrocarburi, crescendo da 4,5 miliardi di euro a 6,5 nei prossimi anni. Insomma, non c’è niente di green come sostenuto dalla comunicazione societaria.

Tutto questo succede mentre Eni registra per il 2022 profitti record, che vengono reinvestiti nell’espansione del business fossile, «a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale», scrivono Greenpeace e ReCommon.

Nella causa anche singoli cittadine e cittadini


«La Regione in cui vivo, il Piemonte, subisce già oggi gli effetti di una drammatica siccità, come dimostra il bassissimo livello delle precipitazioni registrato quest’inverno», racconta Rachele, 21 anni, che partecipa alla causa contro Eni come singola cittadina. «Un problema che probabilmente si aggraverà in futuro. «Sono indipendente economicamente, pago le tasse e non riesco a fare pace con il fatto che le mie tasse vadano a finanziare progetti che ledono il mio futuro. Nella Costituzione è sancito che io abbia diritto a vivere una vita tranquilla, che non sia modificata in alcun modo da un’azienda privata. Sono anni che faccio attenzione all’alimentazione e ai trasporti e tutti i miei sforzi vengono vanificati da un’azienda sola. Non lo posso accettare ed è questo il motivo per cui sono ho preso parte alla campagna».

«Rachele vive a Torino e dalle quelle parti nasce il Po. Io abito dove il Po finisce, nel Polesine e dove gli effetti dei cambiamenti climatici sono spaventosi», dichiara Vanni, un altro cittadino che si è unito a Greenpeace Italia e ReCommon. «Il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto. O di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra. Voglio dare il mio contributo e metterci la faccia, anche per le generazioni che verranno».

La campagna si chiama #LaGiustaCausa

#LaGiustaCausa è il nome della campagna che promuove l’iniziativa legale contro Eni. La prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia, ma non l’unica in Europa. «L’impianto accusatorio è molto simile a quello usato dalla società civile contro Shell nei Paesi Bassi», precisa Alessandro Gariglio, avvocato che segue la causa. Azione legale che si inserisce nel novero delle cosiddette climate litigation. Ovvero azioni di contenzioso climatico il cui numero complessivo, a livello globale, è più che raddoppiato dal 2015 a oggi, portando il totale a oltre duemila cause.

Quella olandese, promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), insieme a Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e oltre 17mila singoli co-ricorrenti, ha indotto un tribunale a stabilire che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di CO2. La sentenza è stata appellata da Shell. Dal prossimo autunno (la prima udienza è stata proposta a novembre 2023) potremo seguire la decisione del tribunale di Roma nei confronti di Eni.