Quando l’eccezione diventa la regola: cosa sono gli eventi meteorologici estremi
Cosa sono gli eventi meteorologici estremi, che differenza c'è tra questi e quelli "intensi" e cosa c'entrano i cambiamenti climatici
Fino a non molti anni di fronte al tema eventi meteo estremi qualsiasi climatologo affermava che non c’erano evidenze di un aumento degli eventi estremi. E che, in ogni caso, il singolo evento meteo non può essere attribuito ai cambiamenti climatici. Oggi sappiamo che non è più così. Ci sono sempre più evidenze sul fatto che il riscaldamento globale implica un aumento di tali eventi estremi, o quanto meno li favorisce.
Il termine “evento estremo”, però, non sempre è usato correttamente ed è anche confuso con gli eventi intensi. Ci sono differenze importanti fra queste due tipologie, entrambe dannose ma che nella scienza del clima sono diverse dal punto di vista statistico. È dunque importante ai fini della comprensione dei fenomeni, della stesura e interpretazione degli allerta meteo e dell’adattamento ai cambiamenti climatici fare chiarezza su cosa si intende per evento estremo e fare il punto sul legame con i cambiamenti climatici.
Eventi estremi e intensi: le differenze fondamentali
Il Sesto Rapporto di valutazione dell’Intergovernmental panel on Climate change (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Ipcc) definisce un evento meteorologico estremo come «un evento raro in un luogo e periodo dell’anno specifici». E un evento climatico estremo come «una sequenza di eventi meteorologici estremi che persiste per un certo tempo, come una stagione». Scopriamo così che dovremmo distinguere due tipologie di eventi estremi: quelli meteorologici e quelli climatici.
Per capire meglio, una singola ondata di caldo da record assoluto o un violento temporale distruttivo con venti estremi di downburst a 160 km/h sono due casi di “evento meteo estremo”. La torrida estate del 2003, quando si susseguirono poderose e ripetute ondate di caldo da maggio a fine agosto, o la lunga siccità al Nord dell’estate 2022, con coda fino alla primavera 2023 furono due casi di “evento climatico estremo”.
L’evento meteo intenso, come dice il nome, è forte, potenzialmente dannoso, ma che tutto sommato ci possiamo aspettare che accada. L’evento estremo è invece un evento raro, fuori dalla variabilità naturale. Altri esempi pratici: una pioggia di 50 millimetri in 24 ore e distribuiti durante la giornata, è un evento intenso. Una pioggia di 50 millimetri in 1 ora, oppure di 200 millimetri in 24 ore, in molti casi rientra negli eventi estremi. Se però ci spostiamo in Liguria, spesso colpita da “alluvioni lampo”, 200 millimetri in 24 ore sono senz’altro evento intenso, ma non estremo. Sono invece estremi 500 millimetri in 24 ore. Insomma, la soglia con cui classificare un evento come estremo non è fissa, ma variabile a seconda della climatologia del luogo o della zona a cui ci riferiamo.
Quando si può parlare di evento meteorologico estremo?
Per quanto riguarda le temperature, in Italia in genere dai 35° centigradi possiamo parlare certamente di “ondata di caldo intensa”. O, per opposto, a -5° centigradi al Nord di “ondata di freddo intensa”. I 40° centigradi invece non sono affatto normali e, ad esempio per molte zone almeno del centro nord, sono da considerare evento meteo estremo. L’opposto evento estremo freddo potrebbe indicativamente essere -10° centigradi al nord o 0° centigradi per esempio a Palermo.
Il termine “evento estremo” può poi riferirsi a qualsiasi parametro o evento meteoclimatico, non solo temperature o pioggia. E sempre considerando la climatologia, una nevicata da 30 centimetri può essere estrema se avviene a Palermo, intensa a Bologna o Milano, normale a Cortina d’Ampezzo.
Nel dettaglio, riferendosi alla statistica, l’evento estremo solitamente è considerato tale quando eccede il 90esimo percentile dei dati. Ovvero si colloca nel 10% degli eventi osservati in una determinata serie storica. È questa la soglia statistica consigliata dalla WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale, che definisce estremo «un evento che si discosta significativamente dai valori meteorologici normali o attesi per un determinato luogo e periodo dell’anno, e che può causare impatti significativi».
Eventi eccezionali: cosa sono e perché sono cruciali per capire il clima che cambia
Non di rado poi sentiamo parlare di “evento eccezionale”. In questo caso si tratta di qualcosa che va anche oltre l’evento estremo. Si parla anche, in bibliografia, di “outlier”, ovvero «un valore anomalo, ossia un dato che si discosta significativamente dal resto dei dati di un campione o di una serie». Sono così complicati da analizzare che molti statistici li escludono dalle loro elaborazioni, o peggio ancora li considerano errati. Invece, sono proprio quelli che ci interessano e che possono mettere in ginocchio un territorio.
In particolare, alcuni studi usano soglie più alte per definire eventi molto rari o eccezionali, come il 95° o il 99° percentile. Per esempio, gli indici climatici standardizzati dell’Etccdi (Expert team on Climate change detection and indices, da uno studio di Alexander e altri del 2006) utilizzano il 95° percentile per le piogge estreme. Mentre ricerche più recenti (Donat e altri Sillmann e altri) adottano il 99° percentile per definire gli estremi più gravi. Evento eccezionale, in genere, dovrebbe essere riservato a questi ultimi eventi, appunto, ovvero eventi oltre il 99° percentile del campione statistico disponibile.
Eventi estremi in aumento: cosa ci dicono i dati sul clima
Essendo per loro stessa definizione gli eventi estremi rari, è difficile far emergere tendenze chiare e statisticamente significative dalle lunghe serie storiche di dati meteoclimatici o i più moderni dataset di ri-analisi. Questi ultimi consentono di ricostruire, attraverso modelli e osservazioni, l’evoluzione del clima passato in qualsiasi punto di un’area geografica. Ma anche con questi strumenti gli estremi restano sfuggenti e complessi da quantificare.
Ciò nonostante, l’incremento degli eventi estremi, sia meteorologici che climatici, non è solo una sensazione. Ormai cominciano a emergere molte evidenze, pur con differenze a seconda dei parametri. Le ondate di caldo sono ormai chiaramente più frequenti e durature in molte aree del globo (soprattutto in Italia ed Europa). Numerosi lavori scientifici evidenziano questo trend. Fra i recenti, per esempio, uno studio di Thessa M. Beck e altri sulle ondate di caldo dell’estate 2022 in Europa dimostra come siano state amplificate dai cambiamenti climatici.
Questa tendenza si riscontra anche a livello locale, sia in pianura e nelle città, sia in zone isolate di montagna. Uno studio pubblicato su International Journal of Climatology, (Costanzini e altri, 2024) ha analizzato le serie storiche di temperatura dell’Osservatorio Geofisico di Modena e del Monte Cimone, evidenziando una chiara crescita dell’indice WSDI, che misura la durata degli episodi di caldo anomalo prolungato (warm spells). E una diminuzione dell’indice CSDI, relativo agli episodi freddi prolungati (cold spells).
Statistica e clima estremo: perché serve un’analisi critica
Quando passiamo ad analizzare le precipitazioni ci accorgiamo che le evidenze statistiche sembrano scarse. Molti matematici “duri e puri” affermano che non vi sono evidenze statisticamente significative dai dati storici. Tuttavia, occorre fare attenzione all’uso e significato della statistica, che è uno strumento potente e indispensabile, ma da analizzare criticamente. Un piccolo paese di provincia, per esempio, potrebbe risultare il più ricco d’Italia semplicemente perché un miliardario vi ha preso la residenza (è successo veramente!).
L’aumento delle temperature globali non si traduce necessariamente in un incremento lineare della quantità totale di pioggia annuale, quanto piuttosto in una variazione della distribuzione temporale e spaziale degli eventi. Un grado di aumento di temperatura implica che l’aria può contenere il 7% in più di acqua precipitabile. In pratica, se fa più caldo può piovere di più e più forte.
I dati recenti, inclusi quelli analizzati nel Sesto Rapporto dell’Ipcc, indicano con “media confidenza”, ovvero meno certo ma comunque distinguibile, la presenza di un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi di precipitazione estrema, soprattutto nelle medie latitudini e nelle regioni tropicali umide. «È importante sottolineare che solo perché un evento ha evidenze limitate, ciò non significa che non vi sia alcuna influenza dei cambiamenti climatici. Significa semplicemente che le prove scientifiche non sono abbastanza forti in questo momento per trarre conclusioni più chiare», ha osservato Marshall Shepherd, meteorologo e docente dell’università della Georgia, negli Stati Uniti.
Emilia-Romagna: un caso emblematico di eventi estremi
In particolare, episodi di piogge torrenziali concentrate in poche ore — capaci di causare flash flood, frane e danni infrastrutturali, stanno diventando più comuni anche in aree dove la tendenza delle medie annue può apparire stabile o addirittura in lieve diminuzione. Studi regionali, come quelli condotti anche in Italia (ad esempio quelli di Ispra e Cmcc), mostrano un aumento degli eventi con accumuli superiori ai 50 o 100 millimetri in 24 ore, specialmente nei mesi autunnali, con impatti rilevanti in contesti urbani e montani vulnerabili.
Il “segnale climatico” sulle precipitazioni è più subdolo rispetto a quello sulle temperature, ma altrettanto importante. Un esempio si ha nella Romagna flagellata da ripetute alluvioni fra il 2023 e il 2024, e anche a marzo 2025. A San Cassiano sul Lamone (Ravenna) fino al 2023 il giorno più piovoso era risultato il 12 giugno 1994 con 116,2 millimetri (secondo i dati del Servizio idrografico/Arpae Servizio idrometeoclima Emilia Romagna, forniti a Valori.it da Pierluigi Randi). La prima alluvione del 2 maggio 2023 ha visto battere il record, con 165,4 millimetri.
Ma non è tutto: nel drammatico evento del 16-17 maggio 2023 si è raggiunto un nuovo record assoluto, pari a 196,8 millimetri. Si è così parlato molto di “evento centenario”: ci sarebbe di che approfondire sui tempi di ritorno, ma il timore di molti meteorologi è che i record e tempi di ritorni del passato non siano più validi e stiano diventando perfino un concetto fuorviante.
Purtroppo, quelle preoccupazioni sono risultate fondate: il 18 settembre 2024 nuove piogge record hanno causato la terza esondazione del fiume Lamone in 18 mesi, con il pluviometro che in questo evento raccoglie addirittura 285,6 millimetri. Gli statistici contestano questo approccio che vi ho proposto, e probabilmente troverebbero “non statisticamente significativo” il trend delle piogge estreme. Il risultato pratico però è chiaro: tre eventi estremi in 18 mesi, e un altro simile poi avvenuto a metà marzo 2025, ci dicono che questi già ora non sono più eventi estremi ma una sgradita “nuova normalità climatica”.
La Noaa americana smette di monitorare i disastri climatici
Proprio ora che dovremmo aumentare il monitoraggio degli eventi estremi, si apprende però che la Noaa, l’Agenzia atmosferica e oceanica che gestisce il servizio meteorologico degli Stati Uniti, starebbe cessando il monitoraggio dei costi dei disastri climatici. Con una decisione sorprendente e fortemente criticata, l’organismo ha annunciato che non aggiornerà più il database dei Billion dollar Weather and Climate disasters. Ovvero lo strumento con cui dagli anni Ottanta vengono quantificati i costi economici dei disastri naturali legati a eventi estremi, come uragani, alluvioni, siccità e incendi.
Il motivo ufficiale? «Evoluzione delle priorità, nuovi mandati normativi e riorganizzazione del personale». Ma per molti si tratta dell’ennesimo attacco dell’amministrazione Trump al fronte climatico. Non a caso, nella proposta di bilancio federale per il 2026, la Noaa subisce un taglio di oltre 1,5 miliardi di dollari, concentrato proprio sulle attività di ricerca e monitoraggio del cambiamento climatico.
Il database, oltre a essere uno strumento scientifico, era un punto di riferimento pratico per i governi locali. «Questa decisione riduce la trasparenza e rende più difficile per le comunità proteggersi e ottenere risorse», ha osservato Noah Fritzhand, del Center for Climate & Security. Senza questo tipo di dati, sarà più complicato dimostrare l’urgenza di investire nella resilienza climatica, proprio mentre gli eventi estremi diventano sempre più frequenti.
Adattamento climatico: gestire l’inevitabile, evitare l’ingestibile
La stessa Noaa assicura che i dati passati (1980–2024) resteranno disponibili e accessibili. Ma il timore spariscano questi e altri dati di archivio climatico, incluso gli storici e preziosi dati di CO2 dell’Osservatorio situato sul vulcano Mauna Loa, alle Hawaii, ha indotto molti scienziati del clima a fare man bassa dei dati ora disponibili, salvandone copie preziose e condividendoli in nuovi database condivisi open data.
Insomma, pare che il vento oscurantista, ultra-liberista e negazionista stia trovando un nuovo metodo per far diminuire gli eventi meteo estremi: cessare di osservarli e conteggiarli. Come sappiamo, non può essere questa la strada giusta. Lo sappiamo: servono mitigazione e adattamento, riassumibili nella formula “gestire l’inevitabile, evitare l’ingestibile”. La diminuzione delle emissioni serra avrà benefici a lungo termine, nel frattempo dobbiamo già convivere con questi eventi, e affrontarli con piani di adattamento e, fra le altre cose, potenziando e non smantellando il monitoraggio nonché gli allerta meteo. Argomento vasto, che meriterà un approfondimento, ma nel frattempo gli eventi estremi non attendono.
Proprio mentre scriviamo il Kentucky è stato flagellato da devastanti tornado con decine di vittime, distrutti anche alcuni elicotteri giunti per i soccorsi. Che sia un segnale chiaro a chi prende decisioni politiche?
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