La non-definizione di finanza etica e sostenibile
È stato pubblicato un sorprendente decreto attuativo della legge che definisce gli «operatori di finanza etica e sostenibile»
La buona notizia è che è stato pubblicato. Dopo oltre sei anni di attesa, il ministero dell’Economia e delle Finanze è riuscito a pubblicare in Gazzetta Ufficiale il Regolamento attuativo della normativa che definisce «gli operatori di finanza etica e sostenibile».
Un percorso cominciato nel 2016: ci sono voluti sei anni per avere un decreto attuativo
Ricordiamo che a fine 2016, con l’approvazione dell’articolo 111bis del Testo Unico Bancario, viene introdotta nella legislazione italiana questa definizione. L’articolo specifica i criteri che devono essere soddisfatti da una banca. Criteri decisamente innovativi, non solo nel panorama italiano ma anche europeo e internazionale. Per essere considerati operatori di finanza etica e sostenibile, tra le altre cose, le banche devono valutare i finanziamenti in base a criteri sociali e ambientali. Garantire piena trasparenza. Finanziare per almeno il 20% il terzo settore. Avere un rapporto tra retribuzione massima e media non superiore a cinque, e altri ancora.
Anche al di là del valore in sé, la definizione assume ancora più importanza in quanto si riferisce alla banca stessa e non ai prodotti finanziari che propone. Per fare un esempio concreto, una delle critiche rivolte al percorso europeo che prova a inquadrare la “finanza sostenibile” è che esso guarda unicamente al singolo prodotto finanziario. Cosi una banca o un gestore può proporre alcuni prodotti di finanza sostenibile mentre il grosso delle proprie attività non lo è. La finanza etica, al contrario, ha sempre fatto della coerenza di ogni suo comportamento uno dei propri punti di forza. E la legge italiana va in questa direzione.
Fino a oggi mancava però, appunto, il Regolamento attuativo per rendere operativa la normativa. È stato pubblicato in questi giorni ed entrerà in vigore il prossimo 5 febbraio. Come detto, è una buona notizia. L’unica però. Perché nel merito, dire che il Regolamento è estremamente deludente è usare un eufemismo. Di fatto riprende integralmente definizioni, criteri e disposizioni già esplicitate dall’articolo 111bis. E quelle pochissime cose in più che contiene sono a dire poco imbarazzanti.
Cosa aggiunge il decreto alla legge che “inquadra” la finanza etica
Il già citato percorso europeo per definire la finanza sostenibile è partito nel 2018. Con tutti i suoi limiti, in questi quattro anni ha promosso una discussione ampia e profonda tra le istituzioni europee. La creazione di due piattaforme di esperti per l’analisi tecnica sia degli strumenti finanziari sia dei criteri ambientali. Una tassonomia che elenca le attività ammissibili. L’analisi di ogni attività produttiva e dei suoi impatti lungo sei direttrici, che spaziano da mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, alla biodiversità, alla gestione dei rifiuti ad altro ancora. Prevedendo che ogni attività, per rientrare nella definizione di finanza sostenibile, debba avere un impatto positivo lungo una direttrice e non nuocere significativamente in ogni altro ambito. Dei regolamenti sulla rendicontazione e la trasparenza sulle informazioni in materia di sostenibilità; e molto altro ancora.
Quello che potrebbe essere visto come l’analogo percorso italiano per definire gli operatori di finanza etica e sostenibile è partito due anni prima, nel 2016. In sei anni l’unico risultato è stato questo Regolamento. Cinque articoli in tutto, di cui uno solo è dedicato a definire gli operatori di finanza etica e sostenibile. Oltre a riprendere pari pari quanto già scritto sei anni prima nel 111bis, su tutta la partite ambientale e riguardo la crisi climatica sono presenti due sole integrazioni.
I fattori di perplessità: dal rating etico riconosciuto a livello internazionale ai consumi di energia
La prima prevede che tali operatori concedano finanziamenti a persone giuridiche solo dopo una valutazione socio-ambientale «secondo standard di rating etico internazionalmente riconosciuti». Il problema, non esattamente un dettaglio, è che questi standard non esistono. Negli ultimi anni si è sviluppato un enorme lavoro di definizione di standard, criteri, iniziative sulla responsabilità sociale e ambientale. Il percorso europeo ad esempio al momento si concentra sulla sola sostenibilità ambientale. Ma non esiste alcun “rating etico” su scala internazionale. E meno che mai definizioni di cosa sia una banca «etica e sostenibile». Se pensiamo che proprio il Regolamento attuativo avrebbe dovuto dare una tale definizione, è il classico caso del cane che si morde la coda.
In realtà il Regolamento ai capoversi successivi prova a entrare nel merito e a definire almeno alcuni criteri. E visto il risultato, sarebbe probabilmente stato meglio non farlo. Si, perché i criteri aggiunti sono quattro, di cui uno solo fa in qualche modo riferimento a questioni ambientali. Eccolo, parola per parola: «In ogni modo non sono conformi a standard di rating etico internazionalmente riconosciuti i finanziamenti a favore di persone giuridiche che nell’ambito della propria attività, consumano energia esclusivamente da fonti non rinnovabili».
Con tutto l’impegno e la buona volontà, nessuno può riuscire a trovare una sola impresa che consumi energia esclusivamente da fonti non rinnovabili. Tutti i gestori di energia utilizzano un mix energetico che comprende in diversa misura tanto fossili quanto eolico e solare. Il che significa che chiunque sia allacciato alla rete elettrica consuma energia almeno in parte da fonti rinnovabili. Tanto valeva scrivere che sono escluse le imprese che producono su Marte, sarebbe stato altrettanto selettivo. Ma se anche si riuscisse nell’arduo compito di trovarne una, questo significherebbe che un’azienda che si alimenta per il 99% a carbone è perfettamente ammissibile. Cosi come chi sversa i rifiuti in mare o inquina consapevolmente i terreni e le falde.
Rimangono, fortunatamente, i paletti indicati dall’articolo 111bis del Testo Unico Bancario
Ciliegina sulla torta, non vengono nemmeno escluse queste imprese. Ci si limita a dire che chi consuma energia esclusivamente da fonti non rinnovabili è “non conforme” rispetto a questi fantomatici standard di rating etico internazionalmente riconosciuti. Quindi l’unica indicazione riguardo ambiente/clima non solo è completamente vuota, ma dà indicazioni su come devono essere redatti questi rating internazionali e non direttamente su come definire gli operatori di “finanza etica e sostenibile”. Che è una cosa priva di senso.
Rimangono – fortunatamente – i paletti già definiti dallo stesso art.111bis. Ma su tutta la partita ambientale e sulle sfide climatiche che dobbiamo affrontare, il Regolamento non ha nulla di più da dire per definire le banche “etiche e sostenibili”. Il confronto con il percorso europeo sulla finanza sostenibile è semplicemente umiliante per il nostro Paese. Poteva e doveva essere l’occasione per introdurre criteri e parametri sugli impatti della finanza in materia di sostenibilità a 360 gradi. Dopo sei anni di lavoro dalla pubblicazione dell’art.111bis, dopo sei anni di attesa, il nulla.
Per rispetto verso chi da anni si impegna per promuovere giorno dopo giorno la finanza etica in Italia, ma più in generale per rispetto delle sfide che il nostro Paese si trova ad affrontare se pensiamo al clima, alle diseguaglianze, alle emergenze sociali, se pensiamo a quanto la finanza dovrebbe dare un proprio contributo, se questo è il frutto di sei anni di lavoro e di riflessioni, sarebbe stato molto meglio continuare a non pubblicare alcun Regolamento.