Buone notizie sulla finanza sostenibile. Ma se fosse sbagliato l’approccio?
200 economisti in una lettera alla Commissione europea spiegano che «qualcosa non sta funzionando» e chiedono di rivedere i modelli economici
Il percorso europeo sulla finanza sostenibile è partito quasi sei anni fa, e in questo periodo ha prodotto diverse direttive e regolamenti. Tra questi, di particolare importanza è stata la creazione di una tassonomia, ovvero un elenco delle attività che possono definirsi sostenibili. Le società non finanziarie sono tenute a seguire diverse linee guida riguardo sia alla misurazione sia alla rendicontazione degli impatti ambientali e delle strategie per la transizione ecologica, in modo che i gestori finanziari possano poi valutare le imprese in cui pensano di investire.
Incoraggianti i primi risultati dell’applicazione delle normative sulla finanza sostenibile
Tra i diversi passaggi, la Commissione ha creato un organo di esperti che svolge attività di consulenza su questi temi, la cosiddetta Platform on Sustainable Finance. Questa piattaforma nei giorni scorsi ha pubblicato una prima ricerca su come le imprese – sia finanziarie sia non finanziarie – abbiano recepito e stiano applicando la nuova disciplina. Secondo un articolo di commento i risultati sarebbero incoraggianti. Le nuove normative starebbero dando un contributo rilevante nel migliorare sia l’impatto ambientale delle imprese sia, in maniera altrettanto importante, la trasparenza. Già oggi oltre la metà dei fondi di investimento europei adotta i criteri previsti per comunicare al pubblico le proprie scelte in materia di sostenibilità e una buona percentuale sarebbe allineata alla tassonomia e rientrerebbe quindi nelle definizioni di “finanza sostenibile”.
Nello stesso momento, rimangono però diversi dubbi sulla capacità effettiva di questo impianto normativo di dare un contributo sostanziale nel contrasto ai cambiamenti climatici. Un primo motivo è nei pesanti limiti della tassonomia, che secondo diverse critiche utilizzerebbe dei paletti eccessivamente larghi nel definire cosa sia “sostenibile”. Abbiamo seguito passo passo l’evoluzione di questo percorso, insistendo appunto sui suoi evidenti limiti. L’inclusione di gas e nucleare tra tali attività è solo l’esempio più evidente.
Oltre 200 economisti denunciano: «Qualcosa non sta funzionando»
In questi stessi giorni è stata però evidenziata una critica di diversa natura e più profonda all’approccio complessivo dell’Unione europea. Oltre 200 economisti hanno scritto una lettera aperta alla Commissione europea, spiegando che «qualcosa non sta funzionando» e chiedendo di rivedere alla base gli stessi modelli economici utilizzati per analizzare l’andamento dell’economia e definire l’agenda futura.
Secondo i firmatari, tali modelli sono superati e non riescono a tenere in considerazione le sfide che il mondo del XXI secolo sta vivendo, e in particolare l’emergenza climatica. «La scelta del modello per guidare il processo decisionale chiaramente non è neutra. Questa scelta teorica determinerà fin dall’inizio una parte delle raccomandazioni derivanti dall’applicazione del modello stesso».
Nella lettera si legge come l’Unione europea si basi ancora su modelli che non riescono a cogliere l’impatto delle variabili legate al clima anche in termini di stabilità finanziaria ed economica. La principale conseguenza è che «alcune strutture del modello e ipotesi fondamentali tendono naturalmente a favorire soluzioni basate sul mercato rispetto a soluzioni fondate sulla regolamentazione».
Il limite più grande è pensare che il mercato abbia le soluzioni
Un approccio puramente di mercato che è esattamente quello su cui si fonda l’idea stessa alla base della tassonomia e dell’intero approccio alla finanza sostenibile nell’Unione europea: saranno clienti e risparmiatori a indirizzare il mercato scegliendo fondi e prodotti finanziari sostenibili, e questo porterà a una svolta complessiva in favore del clima. Al contrario, non servirebbero interventi normativi vincolanti per un’uscita dalle fossili o per gli enormi investimenti necessari per la riconversione ecologia delle attività produttive.
È questa probabilmente la critica più profonda e più pertinente che dovrebbe essere recepita dai decisori politici, e non solo quelli europei. Continuiamo a utilizzare modelli economici in cui gli impatti ambientali sono “esternalità” ovvero non vengono considerati nel ciclo economico. Si calcolano costo e rendimento degli investimenti da fare, ma non il costo, spesso enormemente maggiore, legato all’inazione rispetto all’emergenza climatica incombente. Si applicano soluzioni di mercato a qualcosa, un Bene Pubblico Globale quale il clima, che dovrebbe essere escluso dai meccanismi di mercato.
I modelli economici che guidano le scelte politiche sono superati e sbagliati
Ho la febbre alta, vado dal dottore e questo, invece di prendermi la temperatura, mi misura la pressione. Forse qualche indicazione potrà rilevarla lo stesso, ma se il metodo di studio è sbagliato, difficile poi che diagnosi e cura siano corrette. Oggi i modelli economici utilizzati per guidare le scelte politiche sono superati e sbagliati, ma continuiamo ad adottarli.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Da un lato si continuano a salutare positivamente i risultati e gli accordi conseguiti nel corso delle Cop su scala internazionale o nel percorso sulla sostenibilità dell’Unione europea. Dall’altro, le emissioni continuano a crescere e i dati sul clima sono sempre più terrorizzanti. Probabilmente, è giunta l’ora di rivedere alla base l’intero approccio seguito fino a oggi.