Le risorse per la crisi climatica? Prendiamole da una carbon tax. Parola di Fmi
Con una carbon tax avremmo tutte le risorse necessarie ad affrontare la crisi climatica. Lo dice la direttrice del FMI Kristalina Georgieva
Affrontare la crisi climatica richiede enormi investimenti economici, ma basterebbe una carbon tax per avere a disposizione tutte le risorse necessarie. Lo ha dichiarato Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fondo monetario internazionale (FMI). Lunedì 4 dicembre, nel corso della giornata dedicata alla finanza e al commercio della Cop28, Georgieva è intervenuta a Dubai affermando che, per trovare i fondi necessari a rispondere alla crisi climatica, sarebbe sufficiente dirottare gli investimenti al momento indirizzati alle fonti fossili e introdurre una tassa sulle emissioni di CO2.
Tagliare i sussidi ai fossili, tassare le emissioni di CO2: la ricetta è sempre la stessa
Il dibattito sulla carbon tax è sempre molto spinoso. Il tema diviene oggetto di facili attacchi, soprattutto da compagini politiche negazioniste o, in generale, poco attente al clima. Lo spettro dell’impopolarità è sempre in agguato e induce ad abbandonare il proposito ben prima di avviarsi a realizzarlo. È già successo negli Stati Uniti e in Australia, e proprio l’aumento dei prezzi del carburante è stato la causa scatenante delle violente proteste dei gilets jaunes in Francia nel 2018.
Una strada, secondo Georgieva, c’è: si può far pagare a chi inquina la propria impronta di CO2 e, allo stesso tempo, inquinare di meno. La soluzione è quella che il mondo della scienza, unanimemente, prospetta da tempo: tagliare i sussidi alle fonti fossili.
«Siamo stati lenti su un aspetto politico molto importante, ovvero l’incentivo per gli investitori, tollerando ancora alti livelli di sussidi per i combustibili fossili», ha dichiarato al Guardian. «E [il mondo ha peggiorato la situazione] essendo ancora piuttosto lento nell’introdurre il prezzo della CO2 e nel fornirne una traiettoria di aumento». Georgieva si è detta convinta del fatto che che, applicando una tassazione alle emissioni di carbonio, la decarbonizzazione di tutti i settori potrebbe accelerare.
Con i soldi dei sussidi alle fonti fossili si potrebbero salvare i Paesi in via di sviluppo dalla crisi climatica
Dirottare gli investimenti fossili verso una destinazione più ecologica significherebbe arginare il disastro climatico e sovvenzionare lo sviluppo di energie rinnovabili e di tecnologie a basse emissioni. Le cifre necessarie sono ingenti. Le risorse necessarie per gli interventi di mitigazione e adattamento agli eventi climatici estremi, per tutti i Paesi in via di sviluppo, ammontano a più di 2mila miliardi di dollari all’anno fino al 2030. Da questo calcolo è però esclusa la Cina.
Dai dati a disposizione del FMI, i sussidi che globalmente tributiamo in maniera diretta e indiretta ai combustibili fossili hanno raggiunto i 7mila miliardi di dollari annui. In questa cifra, inoltre, manca il conteggio degli impatti sanitari determinati ogni giorno dalla crisi climatica che, nei prossimi anni, si aggraveranno progressivamente.
Se quindi definanziassimo in modo definitivo le energie fossili, potremmo investire in fonti pulite. Al contempo, l’introduzione di una carbon tax penalizzerebbe gli investimenti ad alta impronta di CO2, portandoli “naturalmente” a diminuire. Un intervento in questa direzione introdurrebbe un principio di equità perché ognuno pagherebbe in base al proprio contributo alla crisi climatica.
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La carbon tax è politicamente impopolare?
Certo, resta il tema dell’impopolarità di una tassa sull’impronta di CO2. Ma questo può essere affrontato in diversi modi. Innanzitutto, diversi studi hanno dimostrato che, se bilanciata da sussidi efficaci per chi è realmente danneggiato dall’intervento, la carbon tax può generare addirittura un ritorno elettorale.
Anche quando rappresenta uno scoglio, ci sono comunque dei metodi per aggirarlo. «In alcuni Paesi – ha spiegato la direttrice del FMI – non è politicamente fattibile… Possiamo anche utilizzare la conformità normativa, in cui gli standard portano a prezzi impliciti sulla CO2». A questo proposito la funzionaria ha spiegato che il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) stanno studiando il modo in cui le politiche e i regolamenti dei diversi Paesi si dotino di prezzi di CO2 impliciti. L’obiettivo è stabilire un sistema di equivalenza, trovando così la chiave per un prezzo delle emissioni equo, che tutti possano accettare.