La Fondazione Shell Usa foraggia il negazionismo climatico
La Fondazione Shell Usa ha elargito per dieci anni donazioni ai gruppi anti-clima coinvolti nel Project 2025 di ala trumpiana
Probabilmente gli scandali non esistono più. Forse perché ce ne sono troppi, forse perché ce ne dimentichiamo subito, forse perché quando sono molto grossi fatichiamo a misurarne la portata. Se una cosa è troppo più grande di noi, non riusciamo a quantificarla e quindi la minimizziamo. È quello che succede quando pensiamo ai cambiamenti climatici, o guardiamo a lungo un cielo stellato. Troppo immenso per afferrarne la portata, ci si perde dentro e viene voglia di guardare altrove.
Già da qualche anno si sa, per esempio, che le grandi compagnie petrolifere sono state fra le prime, a partire dagli anni Sessanta, a compiere importanti ricerche sui possibili effetti della dispersione di anidride carbonica in atmosfera. Nel giro di un decennio ne sapevano abbastanza da rendersi conto dei danni incommensurabili che stavano facendo. Avrebbero avuto tutto il tempo per cambiare business e uscirne quasi pulite. Invece hanno pian piano smantellato i gruppi di ricerca, ne hanno tacitato o sminuito i risultati, spesso hanno finanziato campagne di disinformazione sul tema. È uno “scandalo” di cui sarebbe normale sentire il boato tutt’ora.
Finanziare il negazionismo climatico
Proprio in questi giorni ne è arrivato un altro, il colpevole è sempre il maggiordomo e in questo caso si chiama Shell. Shell, multinazionale produttrice di petrolio e gas con sede a Londra, ha una filiale americana: Shell Usa. Questa filiale gestisce una fonazione non profit, Shell Usa Company Foundation, che a sua volta eroga sovvenzioni a organizzazioni non profit americane. Ecco. Sembra che Shell Usa Company Foundation abbia donato centinaia di migliaia di dollari a una serie di organizzazioni per lo più conservatrici e della destra religiosa. Molte di esse hanno posizioni negazioniste nei confronti dei cambiamenti climatici.
Le donazioni hanno raggiunto un totale di oltre 544mila dollari fra il 2012 e il 2022. Secondo DeSmog, che ha portato avanti l’inchiesta assieme al Guardian, i dipendenti di Shell Usa erano liberi di scegliere le realtà no profit a cui destinare le proprie donazioni, sapendo che la fondazione le avrebbe raddoppiate fino a un massimo di 7.500 dollari. Non è chiaro quali siano le organizzazioni che hanno beneficiato di questo programma di matching. Quel che è certo, perché emerge dai rendiconti pubblici forniti al fisco americano, è che Shell Foundation Usa ha elargito denaro anche a organizzazioni impegnate a mettere in circolazione video e altro materiale di attiva disinformazione sulla crisi climatica. Come Heartland Institute, oppure American Family Association, secondo la quale sostenere l’agenda per il clima sarebbe un «attacco alla creazione di Dio».
Il legame tra Shell e il Project 2025
Tra le organizzazioni beneficiarie, ben 14 sono legate in qualche modo al Project 2025. C’è anche la promotrice, Heritage Foundation. Molto discusso in questi ultimi mesi, il Project 2025 è un fitto programma politico che si propone in primo luogo di allargare i poteri conferiti al presidente degli Stati Uniti d’America. Ma non solo: vuole anche ritirare dal mercato la pillola abortiva, chiudere la Federal Reserve, porre fine ai programmi per la diversità e l’inclusione nelle scuole e negli enti pubblici, potenziare la polizia di frontiera, finanziare il muro al confine col Messico.
In materia di ambiente, il programma intende ridimensionare drasticamente il ruolo dell’Agenzia per la protezione ambientale (EPA), dare il via libera a nuove trivellazioni, esautorare il National Weather Service e affidare le previsioni a soggetti privati. Lo stesso Donald Trump ha preso le distanze dal Project 2025. Peccato però che il documento lo citi centinaia di volte e sia stato scritto da persone a lui molto vicine.
Lo scandalo di Shell
Fra i destinatari delle donazioni della Fondazione non ci sono solo attivi negazionisti climatici. Ci sono anche, ovviamente, grandi ong come Oxfam, gruppi giovanili, scuole, chiese locali. Ma Shell sostiene almeno 21 di questi gruppi legati alla destra estrema, fautori di campagne contro i diritti LGBTQ+ e attacchi costanti al consenso scientifico relativo ai cambiamenti climatici. Per ora non c’è di più, ma è già abbastanza.
Nessun affascinante complotto. Solo, una delle aziende storicamente responsabili del disastro climatico (e del tutto consapevole degli effetti dell’estrazione e utilizzo dei combustibili fossili) che ancora oggi finanzia attivamente importanti canali di disinformazione e negazionismo. Con di fronte a sé la prospettiva, tutt’altro che irrealistica, che alle elezioni di novembre vinca Donald Trump. Lo stesso che in passato ha già fatto uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi.
Dovrebbe essere uno scandalo di per sé. Proprio ora, mentre usciamo da un’estate che ha sfiancato mezzo mondo fra incendi, siccità, ondate di calore e alluvioni. È uno fra i tantissimi, ci siamo abituati e forse, soprattutto, non ci aspettiamo di meglio da nessuno, figurarsi da una delle principali multinazionali del settore petrolifero. Proprio Shell, del resto, ha promesso di tagliare le emissioni del 45% entro il 2030 salvo poi tirarsi indietro, facendo infuriare i propri investitori.