È veramente possibile una Formula Uno a zero emissioni?
La Formula 1 annuncia net zero entro il 2030 ma rischia il greenwashing dei combustibili sintetici per conto di Aramco
La Formula Uno promette zero emissioni entro il 2030. Un obiettivo estremamente ambizioso per uno sport che è l’emblema della non sostenibilità ambientale. E con un indotto inquinante gigantesco. Oltre alle prove e alle gare c’è infatti la logistica: spostamenti di personale, di macchine e di materiali da una parte all’altra del globo. Le soluzioni sembrano essere biocarburanti per la logistica e dal 2026 eFuel per le auto da corsa. Ma sono fattibili, e soprattutto sensate?
Il titolo di lancio dell’operazione è “Net zero by 2030”. Un nome fuorviante: l’obiettivo, pur ambizioso, è meno iperbolico di come sembra. La Formula 1 punterebbe in realtà a ridurre entro il 2030 le proprie emissioni del 50% rispetto al 2018, per mettersi in traiettoria per la neutralità climatica con gli altri settori. Per farlo, si muoveranno appunto su due diversi piani: quello della logistica del sistema-Formula 1 e quello dei combustibili usati dalle auto.
Ridurre la carbon foot print del sistema Formula 1
La parte più difficile è ridurre l’impatto di tutto il sistema degli spostamenti, della logistica, e delle gare. Gli eventi dovranno essere più sostenibili, il calendario delle gare dovrà essere razionalizzato, bisognerà preferire, quando possibile, mezzi meno inquinanti per trasportare gli equipaggiamenti.
«Si tratta di capire come cambiare materialmente le nostre operazioni per spedire meno, per viaggiare più leggeri su una distanza più breve, per assicurarci che ciò che viaggia sia leggero e che possa essere di provenienza locale» si legge sul sito F1Ingenerale.
Per tutti questi aspetti, le soluzioni sono di là da venire. Intanto, però, Formula1 rivendica già dei risultati concreti: grazie alla collaborazione con DHL e alla loro flotta di camion alimentati a biocarburanti (ottenuti soprattutto da olio di palma o grassi animali) avrebbero ridotto le emissioni di circa l’83% rispetto al precedente utilizzo di camion a diesel.
Un numero forse un po’ troppo ottimista. «Pensare che con i biofuel si possano ridurre di così tanto le emissioni è irrealistico. Bisognerebbe fare delle verifiche per capire che misurazioni hanno applicato, ma sarebbe molto complesso» spiega il direttore dell’ufficio italiano di Transport & Environment Andrea Boraschi.
Gli eFuel: combustibili sintetici energivori e costosi e inquinanti
E poi ci sono i combustibili per le auto. Gli eFuel, che dal 2026 dovrebbero rivoluzionare la Formula 1, si producono facendo reagire l’anidride carbonica con l’idrogeno verde. L’idrogeno si ottiene per ettrolisi dall’acqua – moltissima acqua – attraverso un procedimento estremamente energivoro. L’energia necessaria, perché l’idrogeno sia verde, dev’essere ovviamente rinnovabile.
L’anidride carbonica invece viene catturata dall’atmosfera o da impianti industriali: anche questo un processo che richiede un ingente impiego di energie rinnovabili. Insomma un combustibile carbon neutral, ma estremamente costoso, energivoro e dunque scarso. Se ne potrà comunque produrre in quantità molto ridotte.
«Ci sono settori del sistema dei trasporti per i quali l’opzione elettrica non è realizzabile. In particolare penso agli aerei, o alle navi. Ecco: l’idea di bruciare una risorsa così scarsa ed energivora per delle automobili, che potrebbero tranquillamente usare l’elettrico, invece che per ridurre l’impatto degli aerei, è folle dal punto di vista energetico. È uno spreco davvero insensato, che si tratti di automobili di lusso o della Formula 1» spiega Andrea Boraschi.
Ma non basta, perché gli eFuel sono sì carbon neutral per come vengono prodotti. In termini di emissioni inquinanti locali, però, non sono poi così diversi dal petrolio. La loro combustione comporta emissioni di ossido azoto e PM simili a quelle dell’attuale benzina, oltre che di CO2 che viene però compensata all’origine: si ri-immette in atmosfera cioè la stessa quantità di anidride carbonica che si era catturata.
With a little help from Aramco
L’aspetto più interessante è che il principale sponsor di questa operazione sia la compagnia nazionale saudita di idrocarburi Aramco. La Formula 1 stessa è sponsorizzata da Aramco. Ed è sempre Aramco ad aver fornito alla Formula 1 i carburanti sintetici per testare questa nuova via.
Per il momento esistono una ventina di siti che producono eFuel su base sperimentale: ad oggi non sono ancora commercializzati. Sono stati però inseriti fra le tecnologie che potranno continuare a essere vendute in Europa dopo il 2035, quando si potranno commercializzare solo auto a emissioni zero.
Ma un’indagine di SourceMaterial rivela un certo dispendio di denaro per far pressioni a Bruxelles proprio da parte della Formula 1 . Un’attività di lobbying curiosa, visto che la Formula 1 non sarebbe stata toccata da questa legge. SourceMaterial suggerisce che l’unico motivo che può averla spinta a lobbying su questo piano sia quello di dare sostegno agli interessi dei sauditi e all’obiettivo di difendere con le unghie e con i denti il motore a scoppio.
Formula 1 a zero emissioni o Formula 1 del greenwashing?
E quindi? «Qualche miglioramento lo conseguiranno. C’è solo di che rallegrarsi se riescono a ridurre le emissioni» commenta Andrea Boraschi. Difficilmente entro il 2030 le dimezzeranno rispetto al 2018, men che meno raggiungeranno le zero emissioni nette. Però lavorando su tutti i piani qualcosa otterranno.
E forse l’idea che la Formula 1 dal 2026 smetta di utilizzare combustibili fossili può avere un valore simbolico potente. «Però fra l’impegno annunciato e il greenwashing, la linea è molto sottile», dice ancora Boraschi. Il rischio è che parte di questa operazione serva anche agli strenui difensori del motore a scoppio come Aramco per dipingere di vernice verde l’immagine di auto alimentate a eFuel.