#FossilFuelTreaty. Il trattato che ci può far dire addio alle fonti fossili
Contro la crisi climatica anche gli Stati iniziano a chiedere un Trattato per la non proliferazione delle fossili. Sostenuto da OMS, Vaticano e Parlamento Ue
Stop immediato a nuovi giacimenti di fonti fossili e all’espansione di quelli attivi. Eliminazione graduale della produzione attuale in linea con l’Accordo di Parigi. Sostegno alla giusta transizione per dare garanzie a lavoratori, comunità e Paesi impattati dalla transizione.
Sono i tre pilastri dell’iniziativa per un Trattato Internazionale di Non-Proliferazione delle fonti fossili di energia, il Fossil Fuel Treaty. Mutuati dal Trattato di non proliferazione nucleare, a cui il documento dichiaratamente s’ispira. Anche perché l’equazione alla base del Treaty recita: fonti fossili uguale armi di distruzione di massa della nostra era. L’utilizzo dei combustibili fossili è infatti responsabile di oltre l’80% della CO2 emessa nell’ultimo decennio.
Ciononostante, governi e compagnie fossili continuano irresponsabilmente a pianificare l’espansione della produzione, che renderebbe irraggiungibili gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. Per tenerli vivi non c’è altra scelta: ridurre drasticamente l’offerta di combustibili fossili, che è ciò a cui il trattato punta.
Fossil Fuel Treaty: dai primi passi al sostegno degli Stati
L’iniziativa ha preso forma circa due anni fa, col supporto di organizzazioni internazionali da tempo impegnate su giustizia climatica e lotta all’emergenza climatica, fra cui Stand Earth, Carbon Tracker, Center for International Environmental Law, Climate Access. Man mano che arrivavano le adesioni, il trattato ha acquisito notorietà e soprattutto importanza. Imponendosi come uno dei meccanismi su cui riporre maggiore attenzione, e speranza, per coordinare su scala globale la lotta alla crisi climatica. L’accelerazione più forte negli ultimi mesi e settimane, sia per l’avvicinarsi della Cop27 in Egitto, sia perché hanno cominciato a scendere in campo i soggetti che alla fine sarebbero chiamati a firmare il trattato: gli Stati.
A settembre, durante l’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente della Repubblica di Vanuatu è stato il primo a sostenere pubblicamente il documento, invitando l’intera comunità internazionale a fare altrettanto. Poco dopo è arrivato il sostegno del presidente di Timor Est (premio Nobel per la Pace 1996) e questa volta si è trattato di un Paese produttore di combustibili fossili. Poi il Parlamento europeo, sempre in vista della Cop27, ha approvato a schiacciante maggioranza (450 contro 119) una risoluzione che chiede proprio agli Stati di lavorare allo sviluppo del trattato. La corsa, insomma, è lanciata.
«Quando è troppo, è troppo». Ma in Italia le fossili…
Anche prima degli Stati, il Fossil Fuel Treaty aveva comunque ricevuto adesioni di peso. Come quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): «La moderna dipendenza dai combustibili fossili non è solo un atto di vandalismo ambientale. Dal punto di vista sanitario è un atto di autosabotaggio», ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms.
François Gemenne
«Sul clima non possiamo aspettare che crolli il capitalismo»
Intervista a François Gemenne, ricercatore in Scienze politiche presso l’università di Liegi, in Belgio, e docente a SciencePo a Parigi
Parole altrettanto dure sono state usate dal cardinale Czerny, prefetto del dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale: «Quando è troppo è troppo. Tutte le nuove esplorazioni e produzioni di carbone, petrolio e gas devono cessare immediatamente», ha dichiarato. Aggiungendo che in vista della Cop27 «il proposto Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili dà grandi speranze di integrare e rafforzare l’Accordo di Parigi». Anche il sindaco di Londra, Sadiq Khan, nel meeting annuale del network C40 Cities a Buenos Aires, ha rilanciato l’appello per aderire al Treaty. Con le stesse parole: «Quando è troppo è troppo», ovviamente riferite alla tossica dipendenza del nostro modello di sviluppo dalle fossili.
Londra è fra le 70 città e governi regionali del mondo che già aderiscono all’iniziativa. Chiedono un trattato per mettere uno stop alle fossili anche circa 500 parlamentari internazionali. E in Italia? Al momento nel Parlamento uscito dalle urne il 25 settembre c’è un solo membro che sostiene il trattato. Quanto alle città, da noi nessuna ha ancora detto che «quando è troppo, è troppo».