Dai governi del G20 142 miliardi di dollari ai combustibili fossili in tre anni
Alla faccia della crisi climatica, i governi del G20 continuano a finanziare i combustibili fossili. Lo svela il report Nemici pubblici
Alla faccia della crisi climatica, i governi del G20 stanno continuando a finanziare i combustibili fossili. È quanto emerge dal report Nemici pubblici di Oil Change International, Friends of the Earth Stati Uniti e ReCommon. Uno studio che fa luce proprio sui finanziamenti pubblici che i 20 Stati più ricchi del mondo hanno erogato dal 2020 al 2022. In tutto 142 miliardi di dollari in tre anni, prendendo in considerazione solo quelli che vengono da istituzioni finanziarie pubbliche e banche multilaterali di sviluppo (Mdb). Se invece lo studio considerasse anche i sussidi indiretti, come gli sgravi fiscali e gli investimenti delle imprese statali, il totale sarebbe ancora più alto. Cioè circa 846 miliardi di dollari all’anno, sempre nel triennio 2020-2022.
Tutti i sussidi erogati dai Paesi del G20 ai combustibili fossili
Secondo il report, le agenzie di credito alle esportazioni «si rivelano i peggiori attori della finanza pubblica internazionale, incidendo per il 65% di tutte le attività note sui combustibili fossili. Anche il Gruppo Banca Mondiale ha fornito il maggior numero di finanziamenti diretti ai combustibili fossili rispetto a tutte le altre banche multilaterali, con una media di 1,2 miliardi di dollari all’anno. Almeno il 68% di questa cifra riguarda il gas fossile».
L’Italia si posiziona al quinto posto nella classifica dei Paesi del G20 più generosi nei confronti dei combustibili fossili. Il finanziamento medio annuo nel periodo tra 2020-2022 è di 2 miliardi e 569 milioni di dollari. Una cifra più alta rispetto a quella di Stati Uniti (2,25 miliardi di dollari), Germania (2 miliardi), Francia (248 milioni). Ci superano solo Cina (4,069 miliardi), Giappone (6,9 miliardi), Corea del Sud (9,9 miliardi) e, primo in graduatoria, Canada (10,9 miliardi).
Una montagna di soldi che va totalmente a contraddire la Dichiarazione di Glasgow (tecnicamente, Partenariato europeo per la transizione verso l’energia pulita). Il patto prevedeva di porre fine al sostegno pubblico internazionale ai combustibili fossili unabated (cioè senza cattura di CO2) entro il 31 dicembre 2022. Ed era stato firmato anche da alcuni dei Paesi del G20 citati nel report, cioè Canada, Germania, Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Francia. Che, però, hanno fatto tutto il contrario. Anche il Fondo per le perdite e i danni (loss and damage), annunciato alla Cop28, appare misero rispetto ai miliardi di sussidi alle fonti fossili. Sommando le promesse di Canada, Giappone, Italia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Francia, si arriva appena a 414 milioni di dollari.
Dove vanno a finire i finanziamenti pubblici
«Tra il 2020 e il 2022 il 54% dei finanziamenti pubblici internazionali noti per i combustibili fossili è confluito verso il gas fossile e un ulteriore 32% a progetti combinati oil&gas» si legge nel report. Ma vanno anche a progetti come la cattura e stoccaggio della CO2 (CCS), agli idrogenodotti di origine fossile, alla co-combustione dell’ammoniaca. Tecnologie molto contestate dal report perché sono costose e non sostituiscono i combustibili fossili. Anzi, «il 79% della capacità operativa mondiale di CCS è stato finora utilizzato per produrre più petrolio».
Unica nota positiva: i finanziamenti per progetti legati al carbone sono scesi da una media annuale di 10 miliardi di dollari nel periodo 2017-2019 a 2 miliardi di dollari nel triennio successivo.
L‘appello agli Stati del G20: basta soldi per i combustibili fossili
Il rapporto chiede di adottare politiche di esclusione dei combustibili fossili lungo l’intera catena di approvvigionamento. E di aderire e rispettare il Partenariato per la transizione verso l’energia pulita (CETP) volto a dirottare immediatamente i finanziamenti pubblici internazionali dai combustibili fossili verso l’energia pulita.
Ma attenzione anche ai sussidi indiretti. «Le istituzioni finanziarie pubbliche multilaterali e bilaterali spesso contengono scappatoie che permettono di continuare a finanziare “indirettamente” i combustibili fossili attraverso strutture collegate, assistenza tecnica, intermediari finanziari e garanzie, o sostegno politico», proseguono gli autori.
Una trappola per i Paesi del Sud del mondo
Simone Ogno di ReCommon spiega a Valori.it anche la questione del debito dei Paesi del Sud del mondo, quelli meno responsabili della crisi climatica ma che la soffrono per primi. «I finanziamenti alle fonti fossili nei Paesi in via di sviluppo rischiano di alimentare il circolo vizioso di debito ed estrattivismo in cui sono incastrati, distruggendo il loro ambiente. Per questo, anche in vista del G7, dobbiamo chiedere la cancellazione urgente e sostanziale del debito del Sud globale. Inclusi gli interessi, le commissioni e altri oneri. Dobbiamo però stare attenti perché a volte per il debito cancellato viene poi decurtato dal budget della cooperazione».
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Un discorso simile vale anche per i finanziamenti internazionali a sostegno dei progetti di energia pulita nei Paesi a basso e medio reddito. L’83%, tra il 2020 e il 2022, è stato erogato tramite prestiti. «Anche i finanziamenti per l’energia pulita non dovrebbero costituire un’ulteriore fonte di indebitamento per i paesi del Sud globale, ma devono essere erogati in gran parte sotto forma di sovvenzioni», commenta Ogno. Tutti i progetti, inoltre, dovrebbero essere realizzati nel rispetto dei diritti umani, con il consenso della popolazione e coinvolgendo le comunità locali.
La conclusione del report è chiara. «Qualsiasi nuovo investimento in infrastrutture per progetti legati al petrolio, al gas o al carbone peggiorerà la crisi climatica, aumenterà l’entità dei beni incagliati, cioè delle infrastrutture che dovranno essere chiuse prematuramente, o entrambe le cose». Secondo Simone Ogno «il consumo di gas continua a calare, la scusa della sicurezza energetica per giustificare queste infrastrutture non tiene più. Altrimenti è chiaro che ci troviamo dinanzi all’ennesimo regalo alle multinazionali dell’energia».