Glasgow Financial Alliance for Net Zero: gli investitori pro-clima e pro-carbone
I membri della Glasgow Financial Alliance for Net Zero possono continuare indisturbati a investire nelle nuove centrali a carbone
Prendiamo due fondatori d’eccezione come Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra, e Michael Bloomberg, magnate dell’editoria ed ex sindaco di New York. Prendiamo un palcoscenico come quello della Cop 26, l’attesissima conferenza sul clima che si è svolta a Glasgow nell’inverno del 2021. Questi ingredienti, da soli, possono dare un’idea della fragorosa risonanza mediatica della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ).
Attraverso tale iniziativa, i pesi massimi della finanza si sono formalmente impegnati per un futuro a zero emissioni nette di gas a effetto serra. La dichiarazione d’intenti è lodevole, ma possiamo stare certi che alle parole seguano i fatti? Dopo aver esaminato le carte, il quotidiano britannico Guardian avanza un sospetto: dietro alle promesse scintillanti si celerebbe anche una buona dose di greenwashing.
Cos’è la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ)
La Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ) si presenta come una «coalizione globale dei principali istituti finanziari che si impegnano per accelerare la decarbonizzazione dell’economia». Ne fanno parte più di 450 colossi finanziari, suddivisi in diversi gruppi di lavoro a seconda della loro area di attività. Ci sono infatti asset manager (tra cui BlackRock e DWS), banche (HSBC, Bank of America, JPMorgan Chase e l’italiana Unicredit, solo per citarne alcune), compagnie di assicurazione (come Allianz, Aviva, Generali e Munich Re). Sommando gli asset che hanno in gestione, si arriva al vertiginoso totale di 130mila miliardi di dollari.
In linea con la campagna Race to Zero, con la quale le Nazioni Unite coinvolgono il settore privato nell’ambiziosa missione di decarbonizzare il nostro sistema economico, i membri della GFANZ promettono di «adottare linee guida scientifiche per raggiungere le emissioni zero, dirette e indirette, entro il 2050». E di farlo in fretta: i primi target intermedi sono fissati già per la fine di questo decennio.
L’accusa del Guardian: c’è ancora spazio per il carbone
Fin dai primi momenti alcune organizzazioni attiviste (tra cui la britannica Positive Money) avevano espresso qualche critica alla Glasgow Financial Alliance for Net Zero. L’iniziativa appariva infatti troppo vaga, in assenza di target giuridicamente vincolanti fissati da regolatori e banche centrali. Ora le regole iniziali sono state aggiornate per renderle più credibili e stringenti.
I giornalisti del Guardian, però, hanno letto il corposo documento di oltre cento pagine che porta la firma della campagna Race to Zero. E non sono della stessa opinione. In particolare, spicca un macroscopico punto debole: ai firmatari è concesso mantenere gli investimenti in nuovi progetti legati al carbone fino a metà 2023. Anzi, gli investimenti in questo e altri combustibili fossili possono essere mantenuti addirittura più avanti nel tempo, purché si assista a una «riduzione graduale» di tali attività.
Insomma, una banca che ha aderito alla Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ) può continuare indisturbata a investire in una compagnia che costruisce nuove centrali termoelettriche a carbone. E questo è «sconcertante», tuona Beau O’Sullivan, attivista di Bank On Our Future. «Puoi dire che stai puntando al contenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi e all’azzeramento delle emissioni nette. Avere avere questa aspirazione però non ha senso senza requisiti chiari per eliminare gradualmente tutto il sostegno al carbone, seguendo una tabella di marcia scientificamente fondata».