Hacker, dati trafugati e 80 milioni di dollari. L’inchiesta che scuote Wall Street

Tra il 2018 e il 2020 cinque hacker russi avrebbero rubato informazioni su società quotate per trarne profitto speculando a Wall Street

Tra il 2018 e il 2020, i pirati informatici avrebbero rubato informazioni sui bilanci delle più grandi società americane quotate in Borsa per trarne profitto speculando sul mercato © gorodenkoff/iStockPhoto

Per due anni avrebbero trafugato dati di aziende quotate a Wall Street. Sfruttando le informazioni riservate per investire e intascare oltre 80 milioni di dollari. Secondo il dipartimento di Giustizia statunitense, a tanto ammonterebbe il bottino di una serie di truffe portate a termine con successo da una banda di cinque hacker russi. Tra il 2018 e il 2020, i pirati informatici avrebbero rubato informazioni sui bilanci delle più grandi società americane quotate in Borsa per trarne profitto speculando sul mercato. 

Come ci sono arrivati i pirati a Wall Street?

La storia è emersa lo scorso dicembre, quando il magnate russo Vladislav Klyushin, arrestato nel marzo precedente dalle autorità svizzere, è stato estradato negli Stati Uniti. Klyushin, assieme a quattro presunti complici, siederà sul banco degli imputati della corte federale di Boston. E dovrà rispondere delle accuse di hackeraggio e insider trading. Ovvero, appunto, di aver sfruttato informazioni non di dominio pubblico per orientare le loro compravendite di azioni.

I cinque uomini avrebbero individuato e preso di mira un delicato e preciso punto della catena di passaggio delle informazioni che muovono il mercato. Si tratta di due aziende, l’una americana e l’altra giapponese, che le società quotate usano per archiviare i propri dati prima di condividerli con il pubblico e con la Sec (Securities and Exchange Commission), l’organismo di controllo della Borsa statunitense.

L’accusa di insider trading

Che cosa se ne facevano i cinque russi di conti, bilanci e report rubati prima della loro diffusione? Con questi dati in mano, gli hacker russi avrebbero incassato 82,5 milioni di dollari aprendo conti in Portogallo, Danimarca, Russia e Cipro.

Da una parte, pare che i cinque acquistassero i titoli di società scelte proprio nel momento in cui queste stavano per rivelare risultati finanziari positivi. Dall’altra, lo stratagemma utilizzato era la cosiddetta vendita allo scoperto (short selling). I cinque prendevano in prestito titoli di società che sapevano avrebbero avuto dati contabili deludenti, in modo da vendere prima della pubblicazione dei bilanci questi strumenti finanziari e riacquistarli a un miglior prezzo dopo la reazione negativa del mercato. L’intermediazione permetteva ai pirati di speculare ai danni di ignari investitori. Senza l’assunzione di alcun tipo di rischio.

Klyushin sostiene che l’accusa celi motivazioni politiche. E la speranza di ricevere preziose informazioni sul governo russo da parte di un tycoon come lui, ritenuto vicino a Vladimir Putin. In attesa del  processo, il russo si è dichiarato non colpevole, offrendosi di pagare una cauzione di oltre due milioni di dollari. Ma il giudice gli ha negato la libertà provvisoria citando un “sostanziale rischio di fuga”.

Gli altri quattro presunti membri della banda non sono nelle mani delle autorità statunitensi. Tra loro c’è anche Ivan Yermakov, già accusato di aver preso parte a famose operazioni di hackeraggio, come quella messa in atto nel 2016 per condizionare le elezioni presidenziali americane.

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La sede della Borsa di New York, a Wall Street © ablokhin/iStockPhoto

Wall Street teme altri attacchi hacker

Se le accuse si riveleranno fondate, si tratterebbe di una delle più grandi truffe mai scoperte. Seconda soltanto a quella che, tra il 2010 e il 2015, ha fruttato 100 milioni di dollari a favore di due hacker ucraini e di una rete di complici sparsi in tutto il mondo.

In attesa degli sviluppi giudiziari della vicenda, il mondo finanziario ha ovviamente le antenne drizzate. Come dichiarato alla CBS da Jerome Powell, presidente della Banca centrale americana, i “rischi informatici” (i cosiddetti cyber risks) rappresentano, per la finanza, il pericolo più grande. E la sua preoccupazione non è infondata. Secondo un rapporto di Accenture, multinazionale specializzata in consulenze, gli attacchi informatici alle società sono aumentati del 30% nel 2021 rispetto all’anno precedente. Istituzioni governative e società ogni anno investono miliardi nella cybersecurity, un’industria che vale ormai quasi 200 miliardi di dollari nel 2021.