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Iniquità & clima il fattore-città è cruciale

Le strategie per ridurre le emissioni di CO2 nelle città assicurano migliori standard di vita e performance economiche più brillanti. Tutti gli articoli dal dossier ...

David Miller
David Miller è stato sindaco di Toronto dal 2003 al 2010 e portavoce nel triennio 2008-2010 del C40 Cities Climate Leadership Group
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Valori 155, febbraio 2018 – dossier Gli abusi non fanno crescere

copertina VALORI 155 febbraio 2018

Iniquità & clima il fattore-città è cruciale

di David Miller* Dai centri urbani arriva il 70% dei gas serra. Le strategie per ridurre le emissioni di CO2 assicurano migliori standard di vita e performance economiche più brillanti

*David Miller è stato sindaco di Toronto dal 2003 al 2010 e portavoce nel triennio 2008-2010 del C40 Cities Climate Leadership Group

Dal momento che sono responsabili del 70% delle emissioni di gas serra, le città rappresentano tanto il nodo dell’emergenza del cambiamento climatico quanto il punto di partenza per la ricerca di possibili soluzioni. Come indicato nell’innovativo rapporto pubblicato da C40, Deadline 2020: How Cities Will Get the Job Done, le città sono in grado di produrre fino al 40% delle riduzioni delle emissioni climalteranti necessarie a mantenere il riscaldamento globale entro il limite stabilito dall’Accordo di Parigi, non più di un grado e mezzo oltre i livelli dell’epoca preindustriale. La transizione ecologica – e di conseguenza anche sociale ed economica – dovrà essere radicale e repentina. Saranno i leader locali di oggi a stabilire se le megalopoli mondiali riusciranno a fare la propria parte nel salvare il pianeta da impatti climatici di portata catastrofica. Ciò nonostante, il cambiamento climatico non è l’unico problema che i sindaci si trovano ad affrontare. Le città sono sempre più al centro di crescenti diseguaglianze e disparità socioeconomiche che hanno conseguenze profonde e dirompenti, quali performance economiche deludenti e aumento dei disordini civili. Nelle città del Sud del mondo, l’ineguaglianza si traduce ogni giorno di più in sacche di povertà dilaganti in cui la maggioranza della popolazione si trova ad essere pericolosamente tagliata fuori dall’accesso alla terra, agli alloggi e ai servizi primari. Data la situazione, riteniamo sia impossibile affrontare il problema del cambiamento climatico senza affrontare quello della diseguaglianza, e viceversa. Il cambiamento climatico è fondamentalmente responsabilità dei più ricchi, ma coloro che ne sono colpiti per primi e più duramente sono i poveri e gli svantaggiati. Dal 10% della popolazione dipende la metà delle emissioni globali: se già solo questo 10% riportasse le proprie emissioni alla media dell’Unione europea le emissioni globali diminuirebbero del 35%. Gli effetti del cambiamento climatico esasperano le ineguaglianze, e vengono percepiti di più nel Sud del mondo o fra le fasce più vulnerabili della popolazione mondiale. L’innalzamento del prezzo del cibo dovuto al cambiamento climatico impatta sulle famiglie con basso reddito, che in alcune regioni possono arrivare a spendere oltre il 60% delle proprie entrate per acquistare cibo; e due terzi dei posti di lavoro cancellati negli Stati Uniti dalla furia dell’uragano Katrina, per esempio, sono stati persi da donne. L’ambizioso intervento in materia di clima imposto dall’Accordo di Parigi non potrà mai sortire piena efficacia se non sarà attuato in maniera inclusiva. Politiche e servizi in questo senso dovranno essere accessibili, realizzabili e comunicati in modo adeguato. Per esempio, coinvolgere le comunità di abitanti dei quartieri disagiati e delle bidonville delle megalopoli mondiali nei programmi abitativi e di fornitura di energia locale può servire a migliorare il settore edile e a estendere il ricorso al solare fotovoltaico. Le città che investono in strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio alzeranno più in fretta gli standard di vita e si renderanno protagoniste di una crescita economica più radicale di quelle che rimarranno ancorate a modelli di economia basati sui combustibili fossili. Questo perché dalle azioni sul clima possono derivare tutta una serie di vantaggi, fra cui migliori condizioni di salute (e costi inferiori nel settore della sanità), migliore qualità dell’aria, maggiori opportunità di lavoro e più vivibilità. La transizione necessaria per restare al di sotto del grado e mezzo è un’occasione unica per dare vita a una società urbana più inclusiva, con nuove forme di tutela anche per quei gruppi che erano stati relegati ai margini dall’economia dei combustibili fossili. Stando alle proiezioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, da qui al 2030 il numero di coloro che non hanno accesso all’elettricità dovrebbe calare di oltre il 30%, e il 60% di questo miglioramento sarà merito delle rinnovabili. Per tutti questi motivi, su mandato di un gruppo di sindaci particolarmente sensibili di tutto il mondo, il C40 ha istituito un Inclusive Climate Action Programme per sostenere le città nel tentativo di migliorare l’equità e l’accessibilità delle proprie strategie in ambito climatico. L’ambizione è quella di consentire alle metropoli di attuare politiche climatiche più rapide ed efficaci, in grado di migliorare l’accesso ai servizi e la qualità della vita dei loro cittadini, di arrivare a una più equa distribuzione dei molteplici vantaggi che possono derivare dalle politiche ambientali locali, di moltiplicare opportunità sociali ed economiche più inclusive per tutti. In ultima analisi, ciò non è solo giusto, ma servirà anche a rafforzare il movimento ambientalista attraverso il coinvolgimento di nuovi gruppi e attivisti. ✱

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Tutti gli articoli del dossier sono resi disponibili su Valori.it man mano che ci avviciniamo all’inizio del Festival dei Diritti Umani (20 marzo) e Fa’ la cosa giusta! 2018 (23 marzo). Li trovate qui.