La «ricerca attivista» al servizio della lotta per la giustizia climatica

Gli auspici per la Cop28 del Jean Monnet Center for Climate Justice dell'Università di Padova

Andrea Di Turi
© jacoblund/iStockPhoto
Andrea Di Turi
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In vista di COP28 il Parlamento Ue ha approvato una risoluzione a sostegno del #FossilfuelTreaty, il Trattato internazionale di Non-Proliferazione delle fossili. Argomento di cui al World Congress for Climate Justice (WCCJ) di Milano aveva parlato il Jean Monnet Center for Climate Justice dell’Università di Padova, centro d’eccellenza per gli studi su giustizia, politiche, diritti climatici.

«Non potevamo non esserci, la ricerca applicata e attivista è nella nostra mission», dicono il professor Massimo De Marchi, coordinatore dell’Erasmus Mundus Joint Master Program Climate Change and Diversity: SustainableTerritorial Development (CCD-STeDe), e il dottorando Edoardo Crescini, del Gruppo di ricerca internazionale Cambiamenti Climatici, Territori, Diversità, del Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile, Ambientale (ICEA).

Cos’è la ricerca attivista?

È una ricerca che ambisce a offrire un contributo scientifico per lotte e processi sociali: la cosiddetta citizen science, ma estrema, che noi sperimentiamo da anni. In Ecuador abbiamo supportato la campagna Apaguen los Mecheros (“spegnete le torce”) di UDAPT (Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Texaco), insieme con movimenti indigeni ecuadoriani e realtà locali, contro il gas flaring, la combustione del gas estratto in eccesso: anche grazie al nostro articolo scientifico, il giudice ha dato loro ragione. Sempre in Ecuador abbiamo accompagnato l’esperienza del movimento Yasunidos, che ha condotto alla storica vittoria nel referendum contro lo sfruttamento petrolifero del Parco Nazionale Yasunì.

Ci muoviamo su più percorsi: ricerca sul campo, pubblicazione di articoli scientifici per sostenere organizzazioni e movimenti locali nelle loro campagne contro l’estrattivismo delle risorse naturali. E poi la laurea magistrale internazionale in Cambiamenti climatici e sviluppo territoriale sostenibile, che combina ricerca universitaria e attivismo e fra i cui studenti c’è Pedro Bermeo, di Yasunidos (intervenuto a Wccj, ndr).

Quali sono le priorità per l’azione sul clima?

La governance climatica globale è complessa. Fondamentale è cambiare filosofia: dalla logica degli impegni volontari a un approccio di tipo “comando e controllo”. Per cui è molto importante il passo del Parlamento Ue sul #FossilfuelTreaty, che sarebbe un trattato vincolante (che il Jean Monnet sostiene ufficialmente, ndr). Dovrebbe essere sostenuto da tutte le organizzazioni per la giustizia climatica: il nostro Gruppo di ricerca internazionale Cambiamenti Climatici, Territori, Diversità, sta lavorando a un volume open access, in pubblicazione nel 2025, che dedica un capitolo al #FossilfuelTreaty, con un contributo di Mitzi Jonelle Tan, attivista climatica filippina che fa parte del Comitato direttivo del Treaty.

Un’altra priorità è l’Action for Climate Empowerment: significa che bisogna affrontare le questioni climatiche da più punti di vista, dal basso con i movimenti e dall’alto con regole chiare. Poi c’è bisogno di una narrazione che dia speranza e spinga ad agire: il timore di scenari apocalittici e fenomeni come l’eco-ansia rischiano di bloccare l’azione. Uno dei messaggi principali di Wccj è che dobbiamo imparare dalle esperienze più efficaci, che possono darci dei possibili percorsi alternativi verso un futuro equo e giusto.

Cosa vi aspettate dalla COP28?

Qualche passo avanti concreto, senza troppe aspettative ma neanche eccessivo scetticismo. Ad esempio un endorsement del #FossilfuelTreaty e in generale il phase-out delle fossili: se socialmente accettiamo che nelle strade vi siano dei limiti di velocità, è ora di concordare sulla necessità di smettere di produrre energia con le fonti fossili. Ci attendiamo progressi anche sul loss and damage su cui si è messo un primo tassello alla COP27, perché la crisi da anni già impatta duramente molti Paesi del Sud globale e servono piani di adattamento lungo termine, oltre la logica emergenziale. Teniamo comunque presente che ci sono anche altri luoghi e momenti decisionali importanti sul clima a livello globale, come il Forum sociale Panamazzonico o l’African Climate Summit di Nairobi, dove si sta cercando di definire un paradigma che superi l’estrattivismo fossile.

E in Italia?

L’Italia deve dotarsi di una legge sul clima e una sul consumo di suolo, forse anche più importante date le nostre specifiche vulnerabilità. Purtroppo con l’attuale governo, che ha disatteso gli impegni della Dichiarazione di Glasgow sullo stop ai finanziamenti pubblici per progetti fossili internazionali, le aspettative sono basse.