Crisi climatica e salute: il nuovo allarme del Lancet Countdown
Il rapporto Lancet Countdown mostra come la crisi climatica colpisca già oggi la salute umana, in particolare nei Paesi più poveri e vulnerabili
Non è vero che le conseguenze del clima che cambia ricadranno sui nostri nipoti. Anche gli attuali abitanti del Pianeta ne stanno pagando le conseguenze nel modo più diretto possibile. Ovvero sul proprio corpo, in termini di salute e di perdita di vite umane. Lo registrano gli indicatori del rapporto 2025 redatto dal Lancet Countdown on health and climate change, una rete internazionale di scienziati che dal 2016 monitora l’effetto sulla salute del riscaldamento globale.
Gli indicatori scelti a questo scopo dagli esperti sono 57 e riguardano cinque aree principali: l’aumento del rischio per la salute, le strategie di adattamento adottate, le azioni che puntano a rallentare il riscaldamento globale, l’impatto economico dei cambiamenti climatici e degli investimenti necessari a contrastarli, l’impegno da parte di media, scienziati e cittadini.
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Il nuovo rapporto Lancet Countdown: il clima è già una crisi sanitaria globale
«Dei venti indicatori che monitorano i rischi per la salute e gli impatti dei cambiamenti climatici – scrivono le autrici e gli autori del rapporto – dodici hanno stabilito nuovi record preoccupanti nell’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati». Ad esempio, tra il 2020 e il 2024 ciascuno di noi è stato esposto a ondate di caldo che mettono a rischio la vita – soprattutto di neonati e persone anziane – per diciannove giorni l’anno in media. Sedici giornate, cioè l’84%, sarebbero state evitate senza il riscaldamento causato dalle emissioni di anidride carbonica determinate dall’uomo. Significa, in termini più crudi, che il numero di decessi associati al caldo è peggiorato del 63% tra gli anni Novanta e oggi. Raggiungendo la cifra di 546 mila vittime l’anno in media nel periodo 2012-2021 a livello mondiale.
Nel 2024 si stima che 154mila persone abbiano perso la vita a causa delle polveri sottili dovute agli incendi facilitati dall’aumento delle giornate calde e secche. Questo però non protegge dal rischio, altrettanto elevato, determinato dagli eventi estremi di natura opposta. Se è quadruplicata rispetto al 1950 la superficie terrestre soggetta a siccità estrema toccando il 61% delle terre emerse, anche frane e inondazioni provocate da piogge estreme sono aumentate del 64% rispetto al trentennio 1961-1990. Si aggravano anche gli impatti indiretti, spiega il rapporto: «Questi fenomeni estremi di caldo, precipitazioni e siccità possono influire sulla produttività dei raccolti, interrompere le catene di approvvigionamento, ostacolare il lavoro agricolo e influire sul reddito, minacciando ulteriormente la sicurezza alimentare».
Politica in ritirata e finanza fossile: così il mondo accelera verso il disastro climatico
La politica, tuttavia, sta retrocedendo e il clima perde priorità rispetto ad altre questioni globali. Gli Stati Uniti hanno ridotto gli incentivi alla transizione energetica. L’Unione europea ha rivisto al ribasso gli obiettivi del Green Deal, lasciando mano libera alle aziende produttrici di combustibili fossili. Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 – mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi – sembrano irraggiungibili. E le proiezioni attuali parlano di 2,7 gradi entro la fine del secolo. Le emissioni crescono sia nel settore della produzione energetica che nell’agricoltura. Mentre la deforestazione nel 2023 ha raggiunto il record di 28 milioni di ettari perduti, limitando così la possibilità di immagazzinare CO2 nelle foreste.
Il rapporto fa i nomi dei maggiori responsabili. «Diminuendo la pressione da parte dei leader politici, i giganti dei combustibili fossili (tra cui Shell, BP, ExxonMobil e Chevron) hanno sospeso, ritardato o revocato i loro impegni in campo climatico», si legge nel documento. Le cento maggiori aziende produttrici di gas e petrolio superano del 189% gli impegni necessari per tenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi nel 2040 (dati di marzo 2025). Un dato in salita rispetto al 183% di un anno prima. Le banche assecondano questa tendenza. I prestiti alle società che estraggono carbone, petrolio e gas sono aumentati del 29% e oggi valgono oltre 700 miliardi di euro dopo un quadriennio 2019-2023 in cui erano costantemente calati. A livello mondiale, le emissioni dovute alla combustione degli idrocarburi hanno segnato un record storico nel 2023 di 37 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente immessa in atmosfera.
Italia in prima linea tra caldo, inquinamento e negazionismo: serve rimettere le persone al centro dell’azione climatica
I dati relativi al nostro Paese esacerbano alcune tendenze globali. In Italia, un abitante è stato esposto in media a ondate di caldo per 46 giorni nel solo 2024. 33 dei quali attribuibili ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo. «Dal 2012 al 2021 si sono registrati circa 7.400 decessi l’anno legati all’aumento delle temperature. Oltre il doppio rispetto agli anni Novanta», precisa l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente commentando il documento del Lancet Countdown. «Se si considera anche l’inquinamento atmosferico l’impatto è ancora maggiore: tra il 2019 e il 2023 quasi il 99% della popolazione italiana è stato esposto a livelli di PM10 superiori ai limiti Oms». Anche la classe politica sottovaluta l’impatto della crisi climatica. «L’Italia – spiegano ancora i medici – continua a sovvenzionare i combustibili fossili per un valore di 30,2 miliardi di dollari. Una cifra pari al 15,5% della spesa sanitaria nazionale».
Presentando il rapporto alla stampa, l’argentina Marina Romanello, che ne ha coordinato la redazione, ha riconosciuto le difficoltà del momento: «L’ondata negazionista è forte. Stiamo assistendo alla tipica reazione che segue un grande movimento di persone che chiedono una vita migliore», ha affermato. Invitando al tempo stesso a «non essere ingenui» e a non sottovalutare la percezione e le preoccupazioni delle persone comuni sul tema. «C’è una crisi dell’energia. Molti lamentano che l’azione per il clima ha trascurato i bisogni materiali delle persone per molti anni», ha aggiunto. «Per questo è importante rimettere le persone al centro del modo in cui combattiamo i cambiamenti climatici. Possiamo farlo in modo dannoso per le persone o generare grandi benefici in termini di salute: è fondamentale pianificare azioni che massimizzino questi benefici, lavorando direttamente con le comunità che subiscono gli effetti del clima che cambia».




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