Le ali non sono in vendita: nel labirinto della fast fashion

Un docufilm che indaga tra le ombre di un settore insostenibile, per i diritti e l'ambiente: la fast fashion

Arte e attivismo per riflettere sugli impatti delle nostre abitudini di consumo al centro del docufilm Le ali non sono in vendita

Si chiama “fast fashion” ed è un modello di business, una strategia aziendale. Adottata dalle grandi industrie del settore della moda dagli anni Ottanta a oggi, ha consentito di moltiplicare esponenzialmente le collezioni. Ciascuna casa ne sfornava un paio all’anno. Ora sono 52, tra linee speciali e partnership con marchi specifici. Ma la fast fashion ha consentito anche di abbassare drasticamente i prezzi. Un fatto positivo? Purtroppo no, perché per ottenere questo risultato i brand “tagliano” sulla voce che maggiormente incide sul prezzo degli abiti: il costo del lavoro. E i diritti dei lavoratori: sono oltre 50 milioni le persone nel mondo, quasi tutte donne, impiegate nel settore tessile-abbigliamento. Con stipendi che permettono a stento di sopravvivere.

Le ali non sono in vendita. Viaggio nel labirinto della fast fashion è un docufilm che esplora questo modello di produzione e consumo insostenibile. Scritto e diretto da Paolo Campana, con la supervisione artistica di Sara Conforti, è disponibile dal 29 marzo sulla piattaforma Streen.org. La pellicola è il racconto di un percorso lungo un anno, che ha coinvolto studenti di diversi istituti superiori e accademie. Nel quale le ragazze e i ragazzi hanno potuto riflettere sul fenomeno della fast fashion.

Le ali di Icaro reinterpretate

Un esercizio di arte e attivismo che si fondono, unendo interviste a militanti ed esperti, all’aspetto onirico e alla ricerca estetica svolta dai ragazzi a partire dai propri vestiti. Nella sua componente artistica, il film reinterpreta il mito di Icaro e segue la voce narrante Dedalo, che cerca suo figlio, perso nel mondo del consumismo sfrenato. Un percorso che consente agli studenti di riflettere su ciò che si nasconde dietro lo scintillio delle vetrine dei brand della moda.

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FAIR in collaborazione con hòferlabproject ha promosso una serie di workshop di approfondimento in quattro Istituti di Milano, Genova, Foggia e Torino seguiti da due masterclass a Genova e Torino.

Cosa ci spinge al consumo esagerato di capi di abbigliamento? All’acquisto – spesso compulsivo – di vestiti e accessori di cui non abbiamo davvero bisogno? E che spesso finiscono in discarica senza quasi essere stati usati? «La società sta trasformando i desideri in impulsi», spiega lo psichiatra Ugo Zamburru. Secondo il quale «i desideri sono un percorso e contribuiscono alla definizione della nostra identità. Un impulso, invece, è una soddisfazione immediata, una perdita di controllo. Non ha nulla di costruttivo».

Le ali non sono in vendita. E nemmeno i diritti e la dignità

Il labirinto, esplorato nel film Le ali non sono in vendita, passa anche attraverso i luoghi della fast fashion: i negozi, i magazzini, le fabbriche. I ritmi di lavoro sono infernali. Si lavora in piedi, camminando per ore, sollevando pesi. Il sabato e la domenica non esistono.

«Più si scende nella catena di fornitura e più peggiorano le condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici», sottolinea Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti. La produzione continua di nuove collezioni e la vendita a basso costo impone alle lavoratrici tessili ritmi di lavoro disumani per paghe da fame. Turni estenuanti, violenze fisiche e psicologiche, straordinari non retribuiti, libertà di associazione violata. È su questo impianto malsano che si fonda la fast fashion. Inoltre, come ultimo anello di una catena di potere fortemente sbilanciata a favore dei marchi committenti, le lavoratrici stanno pagando anche, in larga parte, il conto della crisi

Senza dimenticare che tale modello di produzione e consumo è insostenibile anche dal punto di vista ambientale. Il settore del tessile impiega grandi quantità di acqua, risorse non rinnovabili e prodotti chimici dannosi. Ed emette complessivamente 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente ogni anno.

Dalla consapevolezza al cambiamento di sistema

Nell’ultimo decennio la consapevolezza di questa insostenibilità ha portato allo sviluppo di alcune innovazioni nei processi produttivi, in un’ottica prevalentemente di circolarità, di risparmio delle risorse e di estensione del ciclo di vita del prodotto. Tutto ciò, però, per i promotori della Campagna Abiti Puliti, non è sufficiente: occorre incidere in maniera più rapida ed estesa sulle basi stesse del modello di business. In particolare sul consumo e sulla produzione eccessivi, attraverso un cambiamento di sistema. Di paradigma.

Una domanda di cambiamento che arriva dai ragazzi che hanno partecipato ai quattro workshop e alle due masterclass proposti da FAIR in collaborazione con hòferlab project. I giovani studenti coinvolti hanno discusso di acquisto, di consumo critico e rispetto dell’ambiente. E nel film, disponibile sulla piattaforma Streen.org, viene raccontato questo percorso rendendo le ragazze e i ragazzi protagonisti.