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Le 5 proposte di finanza etica al futuro governo

Al futuro governo 5 proposte di Banca Etica, Etica Sgr e Fondazione Finanza Etica per "sostenere una crescita sostenibile e inclusiva" in Italia.

Lezione di finanza etica e banche alla lavagna. Illustrazione da Banca Etica

Urne chiuse e vincitori e vinti pronti al solito diluvio di dichiarazioni, per un quadro politico italiano che, nel passaggio dal 4 al 5 marzo, è profondamente mutato.

Ma poiché i problemi della società e dell’economia sono rimasti, forse potrà essere utile a chi formerà il nuovo governo esaminare anche le proposte formulate già prima del voto da Banca EticaEtica Sgr Fondazione Finanza Etica per “sostenere una crescita sostenibile e inclusiva del nostro Paese”.

Inviate ai rappresentanti dei diversi schieramenti in corsa per le elezioni politiche appena concluse, sono suddivise in 5 punti che toccano temi di economia e finanza (etica, naturalmente), ma soprattutto di equità sociale e fiscale, di tutela ambientale, rispetto dei diritti umani e di sostegno alle fasce più fragili della popolazione.

Ci limitiamo a riportarle, convinti che le modalità di trattamento e risoluzione di certi aspetti daranno il senso della direzione che le politiche finanziarie e sociali, nazionali e non solo, vorranno prendere.

«1 – PARADISI FISCALI/ LOTTA ALL’EVASIONE

Gli elevatissimi livelli di evasione fiscale in Europa e soprattutto in Italia causano un’emorragia di risorse economiche sottratte agli investimenti per lo sviluppo, il welfare, le infrastrutture (per la sola Italia la stima è di 130 miliardi di euro persi ogni anno). È evidente che il costo per la collettività è diventato insostenibile e sta minando alla base i valori della convivenza civile proprio quando i cambiamenti demografici e le migrazioni richiedono alle nostre comunità maggiore capacità e strumenti di integrazione.

2 – TOBIN TAX

Nel mondo aumenta la concentrazione di ricchezza. Secondo il World Inequality Report 2018 nel 2016 la quota di reddito nazionale nelle mani del 10% più ricco era del 37% in Europa, del 41% in Cina, del 46% in Russia, del 47% in USA e Canada e circa del 55% in Africa Sub-Sahariana, Brasile e India. In Medio Oriente addirittura del 61%. Spesso all’origine di queste diseguaglianze c’è l’ipertrofia della finanza speculativa. Una tassa sulle transazioni finanziarie avrebbe la capacità di arginare le speculazioni più aggressive e di generare un gettito per la spesa sociale, senza ostacolare le operazioni finanziarie sane.

3 – FINANZA SOSTENIBILE

La ricerca della Fondazione Finanza Etica, presentata a fine 2017, ha calcolato che la finanza etica e sostenibile vale il 5% del PIL europeo. A fine gennaio 2018 il Gruppo di Esperti voluto dalla Commissione UE ha individuato nella finanza etica e sostenibile uno dei pilastri che l’Unione può e deve sviluppare per rispettare gli impegni in materia di lotta ai cambiamenti climatici e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Il legislatore Italiano si è già posto all’avanguardia in Europa con l’approvazione a fine 2016 della prima legge che riconosce le banche etiche. Mancano però i decreti attuativi e crediamo che la politica possa ancora fare molto per riconoscere la centralità di un modo diverso di fare finanza.

4 – SISTEMA BANCARIO

La crisi finanziaria innescata dalle banche too big to fail statunitensi ha prodotto una serie di novità normative globali che non sembrano in grado di prevenire analoghe crisi future. Ugualmente gli scandali bancari italiani degli ultimi hanno hanno prodotto una tendenza normativa a favorire le concentrazioni e la nascita di grandi gruppi bancari quotati in borsa. Noi siamo convinti che la biodiversità del sistema bancario sia un elemento di ricchezza e di stabilità.

5 – FINANZA E ARMI

Il Medio Oriente e altre aree del pianeta sono ancora devastate da guerre con costi umani e sociali inaccettabili. L’Italia – nonostante l’impegno della Costituzione a ripudiare la guerra e una della leggi più avanzate in materia di commercio di armi – continua ad essere uno dei principali esportatori di armi verso Paesi in guerra. È il caso dell’Arabia Saudita, paese “amico” eppure in guerra in Yemen, verso cui esportiamo bombe. E a guadagnarci sono in tanti: produttori, intermediari e finanziatori. Molti cittadini investono in strumenti finanziari senza nemmeno sapere che essi contengono anche titoli di industrie belliche. È inaccettabile».