La moda etica di Sanaa Mohammad vuole guardare oltre la guerra

La stilista giordana Sanaa Mohammad realizza i suoi capi dando nuova vita ai resti di tessuto scartati in fabbrica

Cecilia Cacciotto
La stilista Sanaa Mohammad
Cecilia Cacciotto
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Tra le vittime collaterali della guerra in Medio Oriente c’è anche Sanaa Mohammad. O meglio, il suo progetto. Di moda sostenibile. Ma cominciamo dall’inizio.

Sanaa è una giovane giordana ed è in Giordania che ha vinto il Khayt Fashion Design Competition 2023, concorso organizzato dalla Unido e finanziato in parte anche dall’Italia. L’iniziativa Khayt riunisce designer e produttori giordani emergenti con l’obiettivo di sostenere gli stilisti locali e aiutare i produttori a creare nuovi prodotti per i mercati internazionali.

Gli abiti di Sanaa Mohammad ridanno vita agli scarti di tessuto

Sensibile alle tematiche ambientali, Sanaa realizza i suoi capi dando nuova vita ai resti di tessuto scartati in fabbrica. Tradizione e innovazione si uniscono nelle sue creazioni in un mix dosato. «Dopo il confinamento dovuto al Covid-19, ho deciso di assecondare la mia passione per la moda facendo un corso universitario per sviluppare la mia attività come stilista».

È proprio durante il corso che Sanaa conosce l’impatto che ha sull’ambiente la faccia più oscura della moda. Soprattutto di quella branca che conosciamo come fast fashion, letteralmente “moda veloce”, che consente una disponibilità costante di nuovi capi e stili a prezzi molto bassi, e provenienti in gran parte dalla Cina. Fenomeno che negli ultimi anni ha portato a un forte aumento della quantità di indumenti prodotti, utilizzati e poi buttati via.

«Non immaginavo quanta acqua ci volesse per fare solo una maglietta o un jeans. Non immaginavo che la fast fashion fosse tra le cause di inquinamento così intenso dei nostri mari. Stando ad alcune stime, una persona beve in due anni e mezzo l’acqua che serve a fabbricare una maglietta. Una follia a queste latitudini, dove l’acqua è così scarsa che resta elemento preziosissimo», racconta. «Così il mio progetto di fine corso si è concentrato sugli scarti industriali, in modo particolare quelli di jeans, con l’uso di quest’ultimi. Prendendo ispirazione dai mosaici antichi ho disegnato la collezione».

Una collezione che con un occhio guarda al passato e con l’altro al futuro, ma resta con i piedi per terra in un presente che vede i leader globali legiferare per ridurre l’impatto ambientale del settore tessile.

L’urgenza di ridurre l’impatto ambientale del settore tessile

È del luglio scorso la Corporate sustainability due diligence directive (Csddd), la direttiva europea che introduce in Europa regole che obbligano le aziende a controllare, gestire e minimizzare il loro impatto negativo sull’ambiente e sui diritti umani. Tra le altre cose, la direttiva richiede a tutte le aziende di mappare le proprie filiere produttive, valutare i rischi ambientali e sociali implementando il sistema di controllo all’interno dell’azienda stessa.

Adesso la legge europea dovrà essere recepita nel diritto nazionale di ciascuno Stato membro. A incoraggiare i legislatori dei vari Paesi a fare in fretta può servire un dato: ogni anno l’Europa è invasa da una montagna di rifiuti tessili pari a 5,8 milioni di tonnellate. Non è tutto. Preso dalla smania di essere sempre alla moda, ogni cittadino europeo in media utilizza 26 chili di prodotti tessili all’anno, di cui 11 chili vengono smaltiti. La maggior parte, circa l’87%, viene incenerita o portata in discarica. Solo l’1% viene riciclato.

Numeri impressionanti per Sanaa che chiama a una presa di coscienza più decisa dei colleghi occidentali e non. «Tutto questo materiale tessile potrebbe avere una seconda vita con un impatto meno invasivo sull’ambiente», sottolinea. Sanaa ci ricorda che un bucato di abbigliamento in poliestere può rilasciare un po’ meno di un milione di fibre di microplastica e che la maggior parte viene rilasciata nei primi lavaggi. «Microplastiche che finiscono negli oceani, nella catena alimentare con un impatto devastante sulla salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi dove si trovano le fabbriche».

L’inquinamento, così come la distruzione degli ecosistemi marini e terrestri, non sembrano impensierire più di tanto i grandi della Terra che fissano obiettivi strategici nei consessi globali per arrestare il riscaldamento globale, salvo poi non rispettarli o rivederli al ribasso.

La guerra in Medio Oriente rallenta il progetto, ma non spegne l’idea di Sanaa

E intanto guerre e conflitti infuriano, come quello in Medio Oriente. Ma che c’entra il conflitto in Medio Oriente con la storia di Sanaa? «Viviamo giorni difficili anche in Giordania, abbiamo tutti paura di un confitto più ampio nella regione. Ma gli effetti sono già evidenti. Il Khayt fashion design avrebbe dovuto lanciare il mio progetto, aiutandomi a installare il mio atelier, la stessa ambasciata italiana mi aveva promesso di farmi partecipare a un evento di moda in Italia. La guerra ha bloccato tutto».

Ma non l’entusiasmo e la speranza di cambiare il corso delle cose. Intanto, Sanaa ha stretto una partnership con una fabbrica locale ad Amman. «Mi restano la creatività, le nuove competenze aziendali. E un’idea, la mia idea. Che spero diventi l’idea di molti».