Moneta digitale: scopi diversi da Pechino a Bruxelles
Cresce l'uso della moneta digitale nel mondo. In ogni Paese con usi diversi. Per la Cina è un modo per controllare cittadini e commercio digitale
Avanza l’epoca delle moneta digitale. Così parrebbe osservando i movimenti in corso in Europa, Cina e Stati Uniti. Ma le finalità di questa innovazione, insieme tecnologica e finanziaria, divergono non poco. Abbiamo assistito negli ultimi anni all’evoluzione, anche “ideologica”, del Bitcoin, diventato ormai uno strumento di speculazione. Che ha smarrito l’obiettivo di costituire uno mezzo di disintermediazione e di sperimentazione di una sorta di “democrazia finanziaria orizzontale”. Ma ora entrano in campo gli Stati e le Banche centrali e, di nuovo, assisteremo verosimilmente a notevoli cambiamenti.
In arrivo l’euro digitale
Sappiamo che la Banca Centrale Europea ha avviato il processo per la creazione dell’euro digitale. Lo ha concepito per lo più come un metodo di pagamento, accentuandone così tale funzione e la sua caratteristica di efficacia. Semplicità di accesso, universalità, sicurezza e affidabilità del metodo di pagamento, supportato da una potente innovazione tecnologica. Quindi una moneta digitale complementare e non sostitutiva di quella fisica. Ma questa impostazione richiede un tempo medio-lungo per essere realizzata. Intorno ai cinque anni, ha dichiarato Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della BCE, a Der Spiegel. Nell’ambito delle innovazioni tecnologiche, però, il fattore tempo è decisivo.
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La Cina è più veloce
La Cina batte decisamente l’Europa su questo terreno. Soprattutto perché attribuisce alla moneta digitale, lo Yuan, una funzione diversa da quella assegnata all’Euro. In un ambiente di mercato, politico e tecnologico ben diverso. La seconda potenza economica mondiale, infatti, ha già distribuito un controvalore pari a diversi milioni di dollari sotto forma di moneta digitale in sperimentazioni in alcune città come Shenzhen, Chengdue Suzhou. Tutto sotto la regia della Banca del Popolo cinese. Il cui obiettivo è quello di sostituire una quota crescente di yuan con la moneta digitale, che qui si chiama Digital Currency Electronic Payment (DCEP), a cui la Banca centrale lavora dal 2014. Una moneta digitale che si inserisce in un ambiente particolarmente avanzato per i pagamenti virtuali. Il vice presidente della Banca del Popolo, Fan Yifei, ha scritto che è necessario spingere la moneta digitale anche perché quella materiale può essere facilmente contraffatta. E il suo anonimato può portare facilmente a usi illeciti.
La moneta digitale cinese: anonima, ma non troppo
Ma possiamo dubitare che la vera motivazione sia questa. Siamo piuttosto inclini a ritenere che alla base della scelta di velocizzare l’inserimento dello yuan digitale nel mercato cinese vi siano motivazioni di tipo finanziario e politico. Lo stesso Fan sostiene che lo yuan digitale può contribuire alla stabilità finanziaria attraverso un sistema di “anonimato controllato”. Intendendo con ciò che i pagamenti possano essere sì, entro certi limiti, anonimi, ma che i dati delle transazioni, svolte dagli operatori dei portafogli di yuan digitali, debbano essere trasmessi unicamente alla Banca del Popolo. Questo per finalità – si dice – di contrasto al riciclaggio di denaro sporco. Questo scopo sarà garantito da un meccanismo di un “collegamento debole” fra il conto corrente bancario e il portafoglio di yuan digitali.
Un modo per controllare di più i cittadini?
Ma come non pensare che per questa via non si voglia aumentare il controllo sui cittadini da parte del governo cinese? D’altra parte uno dei motivi portanti del Bitcoin fu proprio l’anonimato. Ma lo yuan digitale non appartiene alla famiglia dei bitcoin. Quest’ultimo si fonda sulla tecnologia blockchain di tipo orizzontale e democratica. Quella cinese invece è una moneta digitale sotto lo stretto controllo di una autorità centrale. Basti osservare come funziona questa valuta digitale. La Banca del Popolo distribuisce lo yuan digitale alle banche commerciali, che a loro volta le trasferiscono ai consumatori. Banche che forniscono i servizi per cambiare gli yuan materiali con quelli digitali.
Entrano poi in queste transazioni i players privati del commercio on line, come JD.com, il più grande della Cina, fondato nel 1998. Fattura 88 miliardi di dollari e ha già autorizzato gli acquisti sul portale in yuan digitali.
Il governo cinese vuole condizionare il commercio digitale
Ma vi è un’altra spiegazione per l’attivismo del governo cinese in questo campo. Il mercato cinese dei pagamenti online è dominato da Alipay (sotto il controllo di Alibaba) e da WeChat Pay (controllato dal gigante di internet Tencent). Il governo cinese vuole condizionare il campo del commercio digitale. Alipay e WeChat Pay potranno prevedere una sezione nelle loro app dedicata allo yuan digitale. Ma, nella sostanza, la Banca centrale cinese intende utilizzare l’infrastruttura esistente delle banche commerciali per distribuire lo yuan digitale. Troppo costoso e lungo crearne una ad hoc. Insomma, la valuta digitale in Cina è concepita per mettere i due giganti dell’e-commerce – Alipay e WeChat Pay – in competizione fra loro e far entrare nel gioco le banche commerciali ed altre imprese del settore. Tutto sotto la guida e il controllo del governo. Infine, la criptovaluta è uno strumento per perseguire l’obiettivo di una maggiore internazionalizzazione dello yuan.
La Nigeria vieta le criptomonete
Ma, nei riguardi delle criptomonete, gli Stati hanno atteggiamenti assai diversi. Ad esempio la Nigeria ne ha vietato l’uso. In particolare è stata la Banca centrale nigeriana di recente a ribadirne un divieto già espresso nel 2017. E ha chiesto alle banche commerciali di identificare gli utilizzatori delle monete digitali, disponendo di fermare immediatamente ogni transazione in criptovaluta. La Nigeria è fra i primi 10 Paesi al mondo per utilizzatori di bitcoin. Negli ultimi cinque anni la nazione africana ha registrato transazioni per oltre 566 milioni di dollari sulla sola piattaforma Paxful, il secondo Stato dopo gli Stati Uniti. La preoccupazione della Banca centrale nigeriana è quella di evitare il ricorso alla speculazione nella quale troppe persone investono tutte le loro risorse in una moneta instabile. Inoltre, l’utilizzo della moneta digitale, che pure i tanti nigeriani residenti all’estero mostrano di preferire proprio per garantirsi transazioni più sicure e meno costose, ha ridotto il volume di moneta pregiata (dollari) entrato nel Paese attraverso le rimesse. Fra il 2019 e il 2020 si è registrata una riduzione da 23,55 a 17,2 miliardi di dollari. Tanto che la Banca centrale ha deciso di offrire un cambio di 5 nairas (la valuta locale) per ogni dollaro entrato in Nigeria dall’estero, purché passato attraverso un canale ufficiale. Paese che vai, criptomoneta che trovi.