Gli oligopoli alimentari prosperano mentre nel mondo cresce la fame

Il matrimonio tra due giganti dell'agroalimentare restringe ancor di più un oligopolio in grado di far salire i prezzi in tutto il mondo

Soltanto cinque imprese controllano di fatto un oligopolio nel mercato alimentare globale © ArtistGNDphotography/IStockPhoto

Si restringono sempre di più i perimetri dell’oligopolio nell’industria alimentare mondiale. Sempre meno aziende controllano fette sempre più ampie del grande business. Il 23 giugno dello scorso anno l’azienda cerealicola Bunge ha annunciato l’acquisto della canadese Viterra. L’acquisizione rappresenta un vero e proprio royal wedding: Bunge è la quinta impresa per dimensioni e fatturato al mondo nel suo campo. Viterra, che ha sede nei Paesi Bassi, è un colosso canadese del grano.

La Commissione europea fa buon viso a cattivo gioco

Non si tratta solo di un affare privato tra imprese. L’accordo può comportare importanti conseguenze sulla distribuzione delle capacità produttive nel settore e sulle condizioni di vita materiali di molti agricoltori, dentro e fuori l’Unione. Eppure, non è la prima volta che la Commissione concede il suo benestare a una fusione che incentiva oligopoli commerciali, nonostante siano espressamente vietati dal Regolamento 139/2004. E nonostante la stessa Commissione abbia riconosciuto una forte accentuazione della tendenza negli ultimi 25 anni.

Nel 2016 il matrimonio tra Monsanto e Bayer ha generato un colosso dal fatturato globale di 23 miliardi di euro. La soglia consentita dal Regolamento 139/2004 è di 5 miliardi. L’acquisizione ha avuto un ruolo chiave nell’aumento dei prezzi delle sementi in tutto il mondo e ha generato fusioni a cascata che hanno contratto ulteriormente il numero di attori sul mercato. Allo stato attuale, quattro multinazionali controllano il 51% del commercio mondiale di semi e il 61% di quello di prodotti agrochimici.

L’accordo porterà una sostanziale riduzione della concorrenza, alimentando l’oligopolio

L’accordo tra Bunge e Viterra desta preoccupazioni anche in Canada, dove interverrà l’autorità di regolamentazione visto che, con la fusione, si arriverà a una concentrazione del mercato di oltre il 35%. Bunge, leader globale della trasformazione di semi oleosi, opera in 40 Paesi e ha un fatturato di più di 57 miliardi di dollari. È un’azienda dall’enorme potere economico e, di conseguenza, politico. Fa parte delle cosiddette ABCCD: ADM, Bunge, COFCO, Cargill e Louis Dreyfuss. Un gruppo di imprese che detiene il 70% del commercio globale di cereali. E che decide il bello e il cattivo tempo dell’andamento dei prezzi, spesso senza alcun legame con domanda e offerta. Viterra, proprietà di Canada Pension Plan Investment Board, British Columbia Investment Management Corporation e della multinazionale mineraria Glencore, è un colosso del mercato del grano con affari in 38 Paesi e 53 miliardi di dollari di fatturato.

Il Competion Bureau Canada ha sottolineato che la loro unione porterà «una sostanziale riduzione della concorrenza in alcuni mercati rilevanti, come una diminuzione dei prezzi pagati agli agricoltori e una riduzione della scelta a causa dell’eliminazione della rivalità tra Bunge e Viterra». Le prime proiezioni sugli impatti mostrano una riduzione del reddito degli agricoltori canadesi di 770 miliardi di dollari l’anno.

L’acquisizione farà salire i prezzi dei prodotti alimentari

Secondo il Coordinamento europeo Via Campesina, l’operazione genererà una delle tre più grandi aziende del mondo, elemento centrale dell’oligopolio mondiale. Un mostro bicefalo, con il dominio della trasformazione dei semi da un lato, e quello della vendita del grano dall’altro. Con un potere sconfinato sul mercato, che limiterà la capacità di commercializzazione degli agricoltori che esportano nell’Unione europea. E farà salire i prezzi. Gli economisti denunciano il pericolo di inflazione dei venditori, il meccanismo alla base dell’aumento dei prezzi alimentari tra il 2018 e il 2023. L’inflazione dei venditori è il fenomeno per cui l’aumento dei prezzi si sposta di fase in fase della catena di produzione, sommando percentuali di rincari a ogni passaggio, per poi abbattersi sul costo finale. E, quindi, sui consumatori. È successo in Germania, dove tra il 2022 e il 2023 il prezzo dei cereali nazionali è cresciuto nonostante non ci fossero problemi di offerta.

Si tratta di un fenomeno che ha caratterizzato tutta la storia del nuovo secolo: dopo la stabilizzazione degli anni Ottanta e Novanta, i prezzi hanno cominciato a salire senza più arrestarsi, determinando le crisi del 2007-2008, del 2010-2012 e del 2020-2023.

In questo contesto le società ABCCD prosperano. Nel 2022 le persone affamate in tutto il mondo erano una ogni dieci, ma le cinque big del settore hanno comunicato che il 2021 è stato l’anno più redditizio della storia del commercio agricolo. L’aumento registrato rispetto al periodo 2016-2020 è tra il 75% e il 260%. Tutto questo mentre nel mondo le guerre e la pandemia interrompevano le catene di approvvigionamento determinando lo shock dei prezzi. Un trend che si è confermato nel 2022 e nel 2023, senza alcuna capacità da parte di governi e istituzioni internazionali di porre un argine.