New York contro il colosso della carne: fa promesse sul clima senza avere un piano credibile
Il produttore di carne JBS ha annunciato l’obiettivo del net zero, conteggiando però una minima parte delle emissioni. New York gli fa causa
Un colosso internazionale della carne che è sulla buona strada per azzerare le sue emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2040. Il che significa, sostanzialmente, annullare il proprio impatto sul riscaldamento globale. Troppo bello per essere vero? Forse sì, a detta della procuratrice generale di New York. Che mercoledì 28 febbraio ha citato in giudizio la brasiliana JBS, contestandole dichiarazioni ambientali «non comprovate e fuorvianti per i consumatori».
Il gigantesco impatto sul clima di JBS e della sua carne
Con 270mila dipendenti e un fatturato che nel 2022 ha sfiorato i 70 miliardi di euro, la brasiliana JBS è la più grande industria al mondo nel campo della lavorazione della carne. Da tempo punta a quotarsi alla Borsa di New York; un piano che ha scatenato le ire delle organizzazioni ambientaliste. Quello della carne, infatti, è uno dei settori più critici in termini di impatto sul clima. Sia per le emissioni (di metano in primis) degli allevamenti stessi, sia perché fare spazio al bestiame spesso equivale a sacrificare gli ecosistemi forestali.
Una recente inchiesta di Global Witness punta il dito proprio su JBS, insieme a Marfrig e Minerva, per la crescente devastazione della savana del Cerrado, inestimabile in termini di biodiversità. Ma già da tempo JBS era entrata a far parte della lista nera, chiamata Financial Exclusion Tracker, di aziende che i maggiori investitori globali ritengono troppo controverse. Tanto da scegliere di escluderle dai propri portafogli.
Lo Stato di New York contro JBS
JBS da diversi mesi ha iniziato a pubblicizzare, con una certa enfasi, il piano per azzerare le proprie emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2040. Gli organismi di auto-regolamentazione del settore pubblicitario statunitense l’avevano già ammonita. Perché faceva intendere di essere già sulla buona strada per poter ragionevolmente puntare al net zero entro il 2040, senza però disporre di un «piano formalizzato e verificato».
Pur avendo ritirato alcuni annunci pubblicitari, JBS ha comunque continuato a puntare sulla decarbonizzazione a scopo di marketing. Ed è proprio ciò che le contesta la causa depositata in un tribunale dello Stato di New York dalla procuratrice generale Letitia James. Il tanto celebrato piano per il net zero, infatti, risulta fortemente lacunoso. Perché, come ammette la stessa JBS, non calcola nemmeno le emissioni della catena di fornitura. Che sono l’assoluta maggioranza, perché includono anche l’impatto della deforestazione in Amazzonia.
Per giunta, JBS ha intenzione di aumentare la produzione di carne nei prossimi anni. E ancora non esistono pratiche agricole che le permettono di farlo abbattendo così tanto le emissioni (che nel 2021 erano paragonabili a quelle di uno Stato come l’Irlanda). La prospettiva di compensarle è utopistica: i costi sarebbero spropositati.
I limiti della compensazione
L’altra faccia del sistema dei carbon credit
Il sistema dei carbon credit consente di compensare le emissioni di CO2, ma porta anche con sé alcune evidenti storture
Il greenwashing danneggia l’ambiente e i consumatori
Per tutti questi motivi, lo Stato di New York vuole obbligare JBS a bloccare tutte le pubblicità ingannevoli e pagare una multa per ogni violazione. «Quando le aziende pubblicizzano un falso impegno per la sostenibilità, traggono in inganno i consumatori e mettono in pericolo il nostro Pianeta», sottolinea la procuratrice generale Letitia James tramite una nota.
Una presa di posizione che è sempre più condivisa. Il giorno successivo, infatti, la prima causa per greenwashing mai intentata in Danimarca si è conclusa con una batosta per un altro colosso della carne, Danish Crown. Alcune organizzazioni animaliste e ambientaliste gli avevano infatti contestato l’etichetta «maiale a controllo climatico». E il tribunale, dopo aver verificato che alla base non c’era alcuna valutazione indipendente, ha dato loro ragione. Ravvisando una violazione della normativa danese sul marketing.
Un precedente che senza dubbio non potrà essere ignorato. Perché la sostenibilità è una leva di marketing sempre più efficace. Ma, proprio per questo, è giusto che a vantarla sia solo chi raggiunge risultati reali.