OPL 245, udienza 4: la decisione beffa per le ong anticorruzione
Dopo anni di indagini le Ong che hanno svelato la presunta maxitangente Eni-Shell in Nigeria non saranno parti civili. Dal dossier di Valori di luglio
Pareti rivestite di onice di San Quirico d’Orcia, soffitti altissimi e un enorme mosaico realizzato negli anni Trenta. La quarta puntata del processo sul caso OPL 245 (la mega-tangente da 1,1 miliardi di dollari che si suppone sia stata pagata da Eni e Shell per “conquistare” il megagiacimento petrolifero offshore in Nigeria) trova finalmente un palcoscenico degno dell’importanza dell’intera vicenda. Si va tutti nell’aula 1 della Corte d’assise d’appello.
Alle spalle della corte troneggia infatti la “Giustizia armata con legge”, opera dell’eclettico artista Mario Sironi. Insomma, nulla a che vedere con le stanze anguste e caldissime – qui c’è anche l’aria condizionata… – dei tre episodi precedenti. Certo, a rovinare un po’ l’idillio c’è l’imponente gabbia su un lato dell’aula. Qui vennero celebrati alcuni degli storici processi alle Brigate Rosse e alla criminalità organizzata. Gabbie che furono coperte da teli bianchi durante il procedimento nei confronti di Silvio Berlusconi per il caso Ruby.
Cambiano i giudici, non le decisioni sulle parti civili
Grazie a un’acustica per una volta ottimale, ascoltiamo distintamente il presidente della settima sezione del Tribunale Penale, Marco Tremolada, ricordare che uno dei giudici a latere, Paola Maria Braggion, è stata eletta al Consiglio Superiore della Magistatura e per questa ragione viene subito sostituita dal collega Alberto Carboni. Dopo lo spostamento a un nuovo collegio avvenuto nel corso della prima udienza, questa volta il cambiamento di assetto non comporta nessun tipo di ritardo e così si passa senza alcun intoppo al punto centrale dell’udienza, la costituzione delle parti civili.
Dopo aver giudicato inammissibile perché arrivata fuori tempo massimo la richiesta dell’azionista dell’Eni Marco Bava, Tremolada conferma quanto già disposto dal giudice dell’udienza preliminare: alle organizzazioni della società civile, la nigeriana HEDA, l’italiana Re:Commone le britanniche Global Witnesse Corner House non può essere riconosciuto lo status di parte civile. Quello che poteva andare a costituire un importante precedente, si rivela invece l’ennesimo pronunciamento molto restrittivo in materia, in linea con una consolidata prassi giurisprudenziale.
«Non vi occupate solo di corruzione…»
In pratica alle Ong viene contestato di non avere disposizioni statutarie abbastanza esplicite sulle attività di contrasto alla corruzione o di averle introdotte troppo tardi, come nel caso di Re:Common, ma anche di non svolgere attività “esclusiva” sul tema. E in questo caso la scure della corte cade anche su Global Witness, forse la Ong anti-corruzione globale per eccellenza, “accusata” di aver seguito anche altri “filoni” – per esempio quello dei diritti umani legati alla deforestazione in Cambogia o al traffico dei diamanti in Liberia.
Cinque anni di lavoro sul dossier Opl 245 punteggiato da esposti, ricerche, missioni sul campo e un’intensa relazione con i pm non contano granché agli occhi della Corte, per la quale par di capire che le Ong avrebbero dovuto fare ancora di più, quasi sostituendosi agli organi inquirenti.
L’Eni non riesce a buttar fuori i legali della Nigeria
Non sortiscono invece alcun effetto le contestazioni di natura formale e sostanziale sollevate dalla difesa nei confronti del governo nigeriano, che “risulta davvero difficile” non inquadrare come parte civile, e qui ci sentiamo di dire che non possiamo non concordare con le parole del presidente.
Esaurito l’argomento chiave all’ordine del giorno, ci si aspetta una lunga teoria di eccezioni formali sollevate dai numerosi avvocati della difesa, che invece sono stranamente mansueti. Da registrare c’è solo un pacato scambio tra uno dei legali e il Pm Fabio De Pasquale, preambolo allo sciogliete le righe pronunciato a metà mattinata da Tremolada.
Autunno a tappe serrate
Ora si va tutti in vacanza, ma il 18 settembre si ricomincia con le richieste di prova e la risoluzione delle ultime controversie formali. Poi per un mese e mezzo, con una o più udienze a settimana, si andrà a spron battutto per ascoltare i testi della pubblica accusa. Quando arriverà il turno degli imputati, promette la Corte, i ritmi saranno un po’ più sincopati.
Dopo mesi segnati da rinvii e una preoccupante lentezza, il “processo del secolo” sta veramente entrando nel vivo.