Le plusvalenze e la catena alimentare del pallone
Ogni settimana il commento di Luca Pisapia sugli intrecci tra finanza e calcio
Tanto rumore per nulla. La relazione sulle plusvalenze sospette che la Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio) ha inviato alla Figc si risolverà in un nulla di fatto. Lo ha detto chiaro e tondo anche il presidente federale Gravina, sostenendo che è impossibile stabilire parametri di riferimento certi per il valore dei calciatori. È il motivo per cui sono state assolte dopo dieci anni Inter e Milan per i famosi scambi degli anni zero tra Pirlo, Seedorf, Coco e Guglielminpietro, oltreché di una dozzina di primavera ipervalutati a bilancio.
La plusvalenza è piuttosto semplice come opera di maquillage finanziario: scambiando un giocatore x al valore esagerato di y si mette a bilancio un bel gruzzolo, che non evita di presentare perdite clamorose ma almeno permette alla Covisoc, organo dormiente per eccellenza, di chiudere anche il terzo occhio e di accettare l’iscrizione ai campionati di società altrimenti già disastrate. Oggi si parla di nuovo di Juve, e dei vari Rovella, Portanova e Petrelli di cui avevamo già scritto un anno fa o dei giocatori delle serie minori coinvolti nel trasferimento di Oshimen dal Lilla al Napoli, su cui andrebbe però aperto un altro capitolo. Ovvero la figura di Gerard Lopez, ex proprietario del Lille, accusato di avere stornato dal bilancio gli 80 milioni incassati per la sua stella nigeriana prima di vendere la società e di comprarsi il Bordeaux, passando però attraverso un interesse per il Genoa di Preziosi.
Vicinissimo alla vecchia dirigenza del Barcellona, Lopez è invischiato in tutta una serie di compravendite di oscuri giocatori sudamericani da parte dei top club europei i cui soldi finiscono sempre a società terze proprietarie del cartellino (le vietatissime Tpo), ma continua a comprare e vendere squadre come se piovesse. Tutto si tiene nel mare inquinato del pallone. Certo, poi ogni tanto si fingono tutti colti di sorpresa che società per anni presentate come modello e portate in palmo di mano da giornali e tv, vedi Parma e Chievo, a furia di truccare i bilanci finiscano fallite. Ma come giustamente dice Gravina, non c’è da preoccuparsi. Pensare di dare un valore certo a un calciatore è come credere che uno scoglio possa arginare il mare del riciclaggio pallonaro: a nessuno verrà mai in mente di fermare quella pesca a strascico di sconosciuti che movimenta i bilanci dei club e alimenta i conti in banca di personaggi terzi molto, troppo vicini agli stessi club. Anche questa volta la catena alimentare del pallone è salva.