Le plusvalenze sono una mutazione antropologica
Le valutazioni dei calciatori sono sempre più slegate dalle loro reali prestazioni in campo. È una mutazione in qualche misura già avvenuta
Mentre l’inchiesta Prisma sui bilanci della Juventus prosegue e si allarga, il mondo del pallone si divide tra colpevolisti e innocentisti, giustizialisti per partito preso e garantisti a targhe alterne. Quello che sembra interessare è solo l’esito della vicenda giudiziaria: la penalizzazione in classifica del club bianconero sarà confermata, aumentata o invece annullata? Verranno tolti punti anche ad altre squadre? Ci saranno nuove squalifiche?
A ben vedere, è l’aspetto meno interessante della vicenda. Da quando la magistratura ha cominciato ad occuparsi del pallone – il primo e secondo Calcioscommesse degli anni Ottanta, la questione del doping nei Novanta, Calciopoli negli anni Zero e il nuovo doppio scandalo scommesse negli anni Dieci – sono state riscritte classifiche e campionati, tolti e assegnati scudetti, spariti campioni e gregari. Ma in buona sostanza non è mai cambiato nulla. Il sistema pallone è rimasto sempre fedele a se stesso, nella sua orrenda opacità.
Uno sguardo ben più interessante sulla vicenda plusvalenze lo offre invece Andrea Fumagalli, professore di economia politica, nel suo Diario della Crisi che tiene sull’eccellente sito Effimera. Dopo un’analisi della trasformazione dell’industria culturale del pallone da apparato del capitalismo fordista a messa a valore della rendita finanziaria, un aspetto decisivo, che in maniera molto più rozza anche questa rubrica da qualche anno prova a raccontare, ecco la novità dello sguardo.
Per spiegare la novità culturale delle plusvalenze, Fumagalli reintroduce il concetto di biopolitica. Nel tardo capitalismo delle piattaforme o del capitalismo bio-cognitivo, dove è la vita intera del soggetto a essere messa a valore e non solo il suo tempo produttivo – scrive Fumagalli su Effimera – non si tratta più di mettere a valore il tempo libero, ma la vita stessa degli atleti come fossero azioni su cui speculare. Ed ecco che salta completamente tutto il discorso giudiziario sulla possibilità o meno di stabilire quale sia il reale valore economico dei famosi Rovella, Portanova e Petrelli.
La chiave della vicenda delle plusvalenze dei calciatori non è più l’aspetto giudiziario, ovvero se ci sia o meno dolo (sportivo e/o penale) nello stabilire un valore aleatorio e comunque gonfiato alle prestazioni dei calciatori. La chiave è proprio comprendere come oggi nel pallone il valore di un calciatore sarà sempre più slegato dalle sue capacità produttive, dalle sue prestazioni o dallo stesso valore del suo cartellino. Ma sarà invece funzionale unicamente all’oscillazione della speculazione del mercato finanziario interno al pallone. Perché al di là degli esiti della vicenda giudiziaria, la mutazione antropologica è già avvenuta.