La rivincita della canapa tessile, che aiuta anche l’ambiente

Da Armani a Marzotto. La canapa tessile ha una lunga storia in Italia, interrotta da leggi proibizioniste e dall'avvento di fibre artificiali. Peccato per l'ambiente

Un immagine dal sito del museo della canapa www.museodellacanapa.it

In principio fu Giorgio Armani.  Dobbiamo alla creatività dello stilista piacentino, nel 2000, il primo jeans in canapa e con esso la rinascita di una tradizionale filiera tessile italiana, dalla coltivazione delle piante al prodotto di sfilata. Dopo quell’esperienza, a Bergamo, ci riprova il Linificio e Canapificio Nazionale riproponendo la canapa industriale per la produzione tessile e a uso tecnico.

Campo di canapa, Astino (BG) – Credits Linificio e Canapificio Nazionale

«Siamo stati la prima e la più antica azienda in Italia a produrre filati di canapa e lino, sin dal 1873 e non abbiamo mai smesso. Anzi oggi abbiamo iniziato a produrre materia prima integrando agricoltura 4.0 e innovazione». Lo racconta a Valori.it il giovane amministrare delegato della società bergamasca che oggi fa parte del gruppo Marzotto, Pierluigi Fusco Girard

Proprio nei mesi scorsi, nei campi di Astino, in provincia di Bergamo, sono stati riallestite le coltivazioni di canapa e lino. Campi agricoli «high tech» spiega Fusco Girard, con sensori tra le piante per controllare crescita e maturazione delle fibre. Investimenti in vista di una futura produzione con processo più sostenibile per l’ambiente.

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Maggiori produttori in Europa e al mondo

«Con i nostri 5 milioni di chilogrammi di filato annuali tra lino e canapa, restiamo i maggiori produttori in Europa – continua Fusco Girard – Per questo, ci siamo approvvigionati di tutta la materia prima coltivata in continente. Ma scarseggiano i fornitori europei di canapa tessile, che rimane il 5% della nostra produzione. Ecco perché ci stiamo spendendo per riportare nel nostro Paese sapere ed esperienza».

Pochi ricordano che l’Italia, fino al 1939, è stata leader europeo e mondiale, insieme alla Russia, proprio della coltivazione di canapa e produzione di filati e tessuti. Un primato che leggi proibizioniste e l’avvento di fibre artificiali e di origine petrolchimica, nel giro di qualche decennio, hanno quasi completamente cancellato. Uno smacco aggravato da investimenti mancati sull’innovazione del ciclo di produzione e dall’aumento conseguente dei costi di lavorazione. E che forse la nuova legge 242/2016 per la  promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa potrebbe finalmente risanare.

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Agricoltori, imprese e centri di ricerca per il rilancio della canapa

Ecco perché l’unione può fare la forza, specie in un momento in cui il mercato cinese e americano bussano alla porta. «Stiamo lavorando ad un partenariato con agricoltori e cooperative, costruttori di macchine agricole, università, centri di ricerca – spiega ancora Fusco Girard – A breve ci sarà la presentazione di un nuovo progetto nazionale per il rilancio della cultura della canapa tessile in Italia e in Europa».

Intanto l’azienda che fa parte del gruppo Marzotto dal 1985, insieme ad altri partner europei, tra cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore, partecipa al progetto di ricerca europeo SSUCHY approvato su bando Horizon 2020, per produrre biomateriali a basso impatto ambientale. Progetto coordinato dall’Université de Franche Comte, che unisce centri di ricerca, università e imprese.

Da tessuti leggerissimi alla canapa biotech 

«Oggi la canapa industriale può essere filata in maniera molto più sottile e pregiata, fino a costruire camicie e tessuti leggeri, esattamente come il lino. Ma è anche vista come un materiale multiuso e sostenibile. Il mercato, anche se ancora incerto, è più ricettivo al prodotto», sottolinea l’amministratore delegato del Linificio e Canapificio Nazionale.

«Proprio qui sta la differenza rispetto al passato. La canapa tessile può avere molti altri impieghi, non solo tradizionali ma anche tecnici: dalle scocche degli scooter agli elementi per gli impianti acustici. Nuovi mercati che permettono di abbattere costi e aumentare i guadagni. Può valere, quindi, la pena effettuare nuovi investimenti, che attualmente, per una coltivazione di canapa tessile, quantifica Fusco Girard, si aggirano almeno in due-tre milioni di euro.

Alla ricerca di sostenibilità ambientale ed economica

Ma la chiave per il rilancio resta l’abbattimento dei costi di produzione. Occorre investire sull’innovazione della filiera, dalla raccolta in campo ai processi di lavorazione. Anche per evitare che progetti come quello di Giorgio Armani, davvero in anticipo sui tempi, (Levi’s ha lanciato la propria linea in canapa qualche settimana fa, con vent’anni di ritardo), si arenino.

«A differenza dei francesi che hanno continuato a investire e innovare sulla filiera liniera partendo dal seme fino ai macchinari per la stigliatura, (l’estrazione della fibra dalla pianta, ndr), noi abbiamo perso completamente il know out tecnico», ammette Fusco Girard.

Filato di canapa, credits Linificio e Canapificio Nazionale

Occorre investire in nuove tecniche e macchine agricole 

Avendo fibre lunghe, la canapa ha caratteristiche di resistenza alla trazione superiori a quelle del lino. Ma le macchine di raccolta in campo rimaste, adatte a tagliare i fusti alti fino a quattro metri, risultano ormai obsolete e non più competitive. Così, a parità di coltivazione, risulta più conveniente il lino, che ha una resa maggiore e minori scarti di lavorazione. E quindi costi più contenuti.

La cordata di imprese a cui faceva capo lo stilista italiano, cercò, purtroppo senza successo, di ovviare a questi problemi selezionando una canapa più bassa. «L’idea era quella di sfruttare gli stessi macchinari agricoli per il lino, che cresce a un metro e trenta, resi più moderni e competitivi grazie proprio agli investimenti francesi».

Il rischio ora è che, nella corsa mondiale alla produzione di canapa, proprio i cinesi, che godono di aiuti statali, possano riuscire a superare i problemi tecnici per una maggior produttività e qualità della fibra. «Non sono riusciti a riprodurre la filiera di tessitura del lino, che rimane un prodotto italiano e europeo, ma hanno una buona capacità di coltivazione della canapa e ci fanno già concorrenza nella produzione di filati e tessuti», conclude l’AD del Linificio e Canapificio Nazionale.

Canapa: minore impatto ambientale del cotone e delle microfibre

Una competizione davvero rilevante, per l’economia mondiale e per l’ambiente. Come hanno rilevato diversi studi, un ritorno in larga scala della canapa industriale come materia prima sarebbe un importante contributo per un’industria tessile sostenibile. In un mondo infestato da microfibre derivate dagli idrocarburi di origine fossile, che hanno inquinato mari e acqua potabile, la coltivazione di fibre naturali  potrebbe essere un toccasana.

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La canapa, poi, ha un impatto ambientale decisamente più contenuto del cotone, che invece, occupando solo il 3% dei terreni agricoli del mondo, esige il 25% dei pesticidi utilizzati in totale. Insieme a un’ingente quantità di fertilizzanti e acqua per l’irrigazione. Al contrario, la cannabis sativa è una pianta estremamente adattabile, in grado di crescere anche in suoli aridi, che nel clima continentale non ha bisogno di essere irrigata, non necessita di erbicidi e richiede scarso impiego di fertilizzanti. E trattenendo anidride carbonica in quantità elevate, ci aiuta pure a combattere il climate change.