Così le economie avanzate sottraggono risorse al Sud del mondo

Le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo sarebbero figlie dello scambio ineguale. Una teoria che un nuovo studio prova a tradurre in cifre

La teoria dello scambio ineguale si basa sulla differenza nei redditi tra Paesi ricchi e Paesi poveri © Rio Lecatompessy/Unsplash

E se il percorso di crescita dei Paesi industrializzati fosse alimentato da uno strisciante imperialismo? C’è una scuola di pensiero che sostiene proprio questo, si chiama teoria dello scambio ineguale e ha mezzo secolo di storia. La novità, però, sta nel fatto che oggi un team di studiosi è riuscito a tradurla in numeri. Numeri che vanno al di là di qualsiasi immaginazione.

Cosa dice la teoria dello scambio ineguale

A lungo i teorici sono stati piuttosto unanimi nel motivare l’enorme divario in termini di ricchezza tra il Nord e il Sud del mondo: il primo esporta manufatti ad alto valore aggiunto e il secondo, invece, materie prime che vengono vendute a un prezzo inferiore. Una visione parzialmente contestata dal padre della teoria dello scambio ineguale, Arghiri Emmanuel, economista di origini greche e francesi e orientamento marxista, scomparso nel 2001.

Nel libro che l’ha reso celebre, pubblicato nel 1972, Emmanuel compara i prezzi dei beni e dimostra quanto essi siano comunque più alti nel Nord del mondo, anche a parità di categoria. La spiegazione, dunque, va ricercata altrove. Per la precisione, nei salari. Nei Paesi in via di sviluppo il costo del lavoro è più basso e ciò contribuisce in modo determinante ad abbassare il prezzo del prodotto finito. Di conseguenza il Nord esce inevitabilmente vincitore da qualsiasi scambio commerciale perché, a parità di prezzo finale, i suoi beni incorporano una quantità di lavoro inferiore. È come se si venisse a creare un continuo flusso di sovraprofitti e soprasalari dal Sud al Nord del mondo. Amplificando le disuguaglianze che spaccano a metà il Pianeta.

I Paesi a basso reddito sono protagonisti della produzione industriale

Fin qui, la teoria. Un team di ricercatori di università spagnole, austriache e britanniche si è preso il compito di quantificare l’entità di questo scambio ineguale, in termini di risorse e lavoro, nel periodo compreso tra il 1990 e il 2015. Cioè in un quarto di secolo nel quale la produzione industriale si è spostata in massa verso gli Stati a basso reddito, tant’è che ormai questi ultimi esportano per il 70% prodotti finiti.

Lo vediamo in modo evidente nella moda: in Bangladesh, per citare uno dei casi più emblematici, il settore nel 2019 dava lavoro a 4,4 milioni di persone e rappresentava circa l’80% dell’export, per un valore di 33,1 miliardi di dollari. Ma il fenomeno è trasversale, come dimostra il fatto che nel 2010 almeno il 79% degli addetti nel settore manifatturiero vivesse nel Sud del mondo. Senza di loro non avremmo automobili, elettrodomestici, smartphone, giocattoli. Ce ne siamo resi conto quando la pandemia ha paralizzato le catene di approvvigionamento globali, mandando in crisi interi comparti. Nonostante ciò, scrivono gli autori dello studio sullo scambio ineguale, «le disuguaglianze di prezzo restano radicate».

Operai, donne e uomini, al lavoro in un laboratorio tessile, Bangladesh © Kristof Vadino/Clean Clothes Campaign

Di quante risorse si è appropriato il Nord del mondo

L’articolo, pubblicato nella rivista scientifica Global Environmental Change, traccia i flussi finanziari tra le nazioni basandosi sul modello MRIO (Multi-Regional Input Output). Da qui, attraverso una metodologia originale, fa una stima delle risorse e del lavoro di cui il Nord si è appropriato. Per poi parametrarle sui prezzi di mercato e quindi calcolarne il controvalore monetario.

Cosa ne emerge? Che nel 2015 il Nord del mondo si è appropriato di 12 miliardi di tonnellate di materie prime, 822 milioni di ettari di terreno, 21 exajoule di energia, 188 milioni di anni di lavoro. Tutte risorse che sono incorporate nei beni e che, tradotte in denaro, avrebbero un prezzo di 10.800 miliardi di dollari. Abbastanza per porre fine alla povertà estrema; non una, ma 70 volte. Durante i 25 anni esaminati il drenaggio dal Sud del mondo è arrivato a un totale di 242mila miliardi di dollari, un quarto del Pil del Nord del mondo. È vero, sottolineano gli autori, che i Paesi industrializzati danno anche qualcosa in cambio attraverso gli aiuti allo sviluppo. Ma è vero anche che le perdite del Sud li superano di ben 30 volte. La conclusione degli autori è netta: «La nostra analisi conferma che lo scambio ineguale è un fattore determinante della disuguaglianza globale, dello sviluppo diseguale e del collasso ecologico».