La shock doctrine del pallone: la Serie A e il governo della crisi

Quello che sta succedendo va letto come sublimazione della teoria del capitalismo della crisi: è la shock doctrine del pallone

Racconta Naomi Klein in Shock Doctrine come il capitale da sempre approfitti di crisi e disastri per trovare soluzioni che ribadiscano la sua egemonia, per rinnovarsi attraverso nuovi e più idonei strumenti di dominio. Una dimostrazione plastica l’abbiamo avuta durante la pandemia. Il nostro sistema di sviluppo attraverso la devastazione climatica ha provocato la zoonosi, il Covid si è abbattuto su una società che lo stesso sistema aveva già devastato, azzerando tutele, sanità, welfare. Ed ecco che il capitale, raccontandoci che la pandemia è stata esogena, ha potuto proporre la soluzione: una pioggia di denaro che non va minimamente a risolvere le diseguaglianze strutturali ma, anzi, le perpetua distribuendo soldi per fantomatiche transizioni tecnologiche o ecologiche.

La stessa cosa accade nel pallone. Il sistema è in crisi nera da decenni: la Serie A, devastata dalle plusvalenze e incapace di avere un orizzonte di sviluppo è capace solo di produrre spettacoli di infima qualità. I diritti tv si vendono al ribasso. I debiti aggregati sono passati dai 3,1 miliardi del 2016 ai 5,3 miliardi del 2021. Le due società più forti, che meglio dovrebbero rappresentarci, hanno fatto 700 milioni di aumento di capitale in due anni (la Juve) o rinegoziato i bond per 475 milioni (l’Inter). Ma quando arriva la pandemia, ecco che la grancassa mediatica trova il capro espiatorio: tutta colpa del Covid, degli stadi chiusi per qualche mese. Ci si lamenta del limite degli spettatori al 50% o al 75% della capienza, quando prima della pandemia gli stadi si riempivano comunque per il 40% al massimo.

Eppure i presidenti della Serie A alzano la voce, chiedono al governo di partecipare all’abbuffata dei ristori. Vogliono partecipare anche loro alla festa del Pnrr. Ma qualcosa va storto, i soldi non arrivano. L’ex presidente della Lega di Serie A, simpaticamente detta la Confindustria del pallone, è costretto a dimettersi e bisogna trovarne un altro. Uno che come Mario Draghi sappia governare questa straordinaria capacità del capitale di produrre crisi e poi trarne giovamento. Per questo è uscito il nome di Carlo Bonomi, che è presidente di Confindustria, quella vera, e azionista di maggioranza proprio del governo Draghi.

Poi tra litigi, alleanze e riposizionamenti, guerre incrociate con la Federcalcio e con il Coni, scimmiottando le elezioni presidenziali del mese scorso i padroni del vapore hanno scelto la scheda bianca: Bonomi ha preso un solo voto. Tra una settimana si rivota, questa volta a maggioranza semplice, e che torni il nome di Bonomi o spunti quello di un nuovo manager, quello che sta succedendo va letto come sublimazione della teoria del capitalismo della crisi: è la shock doctrine del pallone.