Scarsi impegni climatici, pessima reputazione finanziaria: ecco gli sponsor della Cop28
Gran parte delle aziende sponsor della Cop28 non ha impegni climatici seri e alcune hanno avuto una discutibile condotta finanziaria
Se le premesse con cui siamo arrivati all’apertura dei lavori alla COP28 non erano delle migliori, la lista degli sponsor dell’evento non incoraggia a cambiare visione. Gran parte delle aziende coinvolte, infatti, ha avuto o continua ad avere un atteggiamento ambiguo circa i propri impegni climatici e non vanta un curriculum eccellente dal punto di vista della condotta finanziaria.
Gli scandali finanziari delle imprese sponsor della Cop28
Tra le partnership della Cop28 di Dubai spicca sicuramente Bank of America: il colosso è presente nell’elenco di Banking on Climate Chaos 2023, che monitora le banche che supportano attivamente le compagnie fossili. L’istituto si piazza al quarto posto al mondo per investimenti climalteranti. In tredicesimo posizione della stessa classifica troviamo HSBC, gruppo bancario londinese, anch’essa tra gli sponsor del summit.
Tra le aziende sponsor della Cop28 figurano anche Abu Dhabi Global Market (ADGM), centro finanziario già noto per essere un paradiso fiscale degli investimenti in criptovalute, e la Dubai Holding, multinazionale proprietà dello sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum. Il nome dell’impresa è circolato già qualche anno fa perché inserito nei Pandora Papers. Da quanto risultato dalle indagini, l’azienda ha operato attraverso tre società registrate nei paradisi fiscali delle Isole Vergini britanniche e delle Bahamas. Sponsor dell’evento già noto alla stampa internazionale anche DP World, divisione della Dubai World, che nel 2009 fece notizia per un clamoroso crack finanziario legato alla crisi dei mutui subprime, e Investcorp, gruppo noto per gli investimenti in hedge funds.
Gli sponsor della Conferenza sul clima danneggiano ogni giorno il clima
Se la reputazione finanziaria degli sponsor della Cop28 solleva perplessità, non si può dire di meglio circa la condotta climatica delle imprese coinvolte. Come sottolineato da Science Based Target, gran parte delle società, a partire proprio da Bank of America, non si è impegnata a ridurre le proprie emissioni in linea con l’obiettivo dello zero netto.
Tra i nomi degli sponsor troviamo l’Abu Dhabi Islamic Bank, un’emanazione dell’Abu Dhabi Investment Authority, il fondo sovrano le cui casse sono riempite dai proventi del commercio di petrolio. Stesso tipo di business per Mashreq, altra banca che figura nell’elenco degli sponsor della Cop28.
Non va meglio per quanto riguarda le società che, formalmente, sarebbero dovute essere di garanzia: da un lato abbiamo Masdar, un’azienda del settore delle rinnovabili da molti ritenuta un’operazione di greenwashing e direttamente riconducibile a Sultan al-Jaber. L’impresa energetica investirebbe sì in energie pulite, ma senza disdegnare il sempre (per nulla) verde campo delle fonti energetiche di natura fossile, in particolare il petrolio. Non di petrolio ma di nucleare, invece, si occupa la KHNP, impresa idroelettrica, divisione della Korea Electric Power Corporation.
L’elenco degli sponsor della Cop28 comprende 20 imprese, ma solo una di queste ha obiettivi di emissioni nette zero convalidate dal sistema SBTi: l’azienda energetica spagnola Iberdrola. Il gruppo è tra i veterani degli sponsor delle Conferenze sul clima e la sua presenza è già stata contestata per aver generato, nel solo 2018, 24,6 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 e perché due terzi della capacità installata dichiarata sono legati al gas. Non sono soltanto le questioni ambientali a fa sorgere critiche: in passato è stata accusata di sfruttamento dei lavoratori e violazione dei diritti umani nel progetto di mega diga di Belo Monte, in Brasile.
Il controllore come i controllati
Se questa è la lista degli sponsor della Cop28, viene da chiedersi chi si sia occupato di controllare che non ci fossero imbucati alla grande festa del clima. E il controllore, infatti, non si presenta meglio dei controllati.
Secondo quanto riportato dal Guardian, la società di contabilità globale EY, già nota come Ernst and Young, sponsor tra gli sponsor, ha avuto l’incarico di verificare l’allineamento agli obiettivi SBTi degli altri partner. Il gruppo stesso, però, non si è mai dotato di obiettivi che andassero nella direzione di azzerare le proprie emissioni nette. La società, tra le 20 che hanno finanziato i falchi di Trump, è stata coinvolta in una lunga lista di scandali internazionali, come quello del 2018 in cui, insieme alla svizzera KPMG e alle connazionali britanniche Deloitte e PricewaterhouseCoopers, è stata accusata di «aiutare le multinazionali a eludere le tasse orientando al tempo stesso la politica dell’Unione Europea» in materia fiscale.
Un’analisi di Spendwell ha riconosciuto al gruppo impegni climatici di decarbonizzazione molto seri, ma mai andati oltre le dichiarazioni formali. L’analista di Spendwell Lincoln Bauer ha dichiarato al Guardian: «I Science Based Target sono il sistema di validazione standard per le aziende. Il fatto che così pochi sponsor abbiano sottoscritto i loro obiettivi net zero, e che la stessa EY, scelta per verificare gli impegni climatici degli sponsor, non abbia ancora fissato degli obiettivi, fa pensare che si tratti solo di greenwashing».
E il dubbio che una Conferenza sul Clima fatta nella capitale mondiale del petrolio, e presieduta da un ricco petroliere, possa non essere la strada che abbiamo bisogno di percorrere si fa sempre più pressante.