Oramai anche le televisioni evitano il calcio italiano

Il nuovo accordo sui diritti televisivi per la serie A è stato chiuso a 900 milioni. In calo rispetto allo scorso anno

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Tanto rumore per nulla. Il calcio italiano continua a perdere soldi. E adesso anche le televisioni cominciano a evitarlo. Altro che libero mercato e libera concorrenza: con una maggioranza bulgara (17 su 20) l’assemblea di Lega ha infatti deliberato che tutto resti come sempre, senza nemmeno fingere di cambiare. Con buona pace di De Laurentiis, il canale della Lega era un ridicolo spauracchio: non si farà mai. Il calcio resta in mano al monopolio di Dazn e Sky

Come fossero scommettitori indebitati fino al collo (ogni riferimento non è puramente causale) i padroni del pallone si inchinano al primo che tira loro due briciole. O all’unico che può farlo, dato che i complicatissimi bandi della Lega sono stati scritti proprio per agevolare e confermare il monopolio. Così Dazn e Sky si portano a casa l’intero malloppo con soli 900 milioni l’anno. E non per tre, ma per i prossimi cinque anni: dalla stagione 2024/25 alla 2028/29.

Non che le buste chiuse con dentro le offerte dei fondi per il canale della Lega avrebbero portato di più. Non saranno mai aperte, ma si parla di cifre di gran lunga inferiori. E così sono 700 milioni all’anno da Dazn per tutte le partite e 200 da Sky per 3 in co-esclusiva ogni turno. 900 in totale: una cifra al ribasso, sempre più lontana dalla concorrenza. L’anno scorso erano 927,5. 

Forse gli anni prossimi ci saranno dei bonus, dei revenue sharing da 30-40 milioni. Ma il problema è quando si confronta la Serie A con gli altri campionati, con gli oltre 2 miliardi della Premier, che con i diritti esteri raddoppia sfiorando i 5 miliardi l’anno. O i 2 miliardi della Liga e il miliardo e mezzo della Bundesliga. Non reggiamo il confronto. Perché il campionato italiano giustamente non se lo fila più nessuno nemmeno all’estero, quindi ai 900 milioni del mercato interno ne aggiunge 200-300 al massimo.

Anche perché se la domenica a mezzogiorno, nel prime time televisivo asiatico, continua a offrire meravigliosi classici come gli 0-0 senza tiri in porta, è difficile innamorarsi del calcio italiano. E così ci si accorge che negli ultimi dieci anni i diritti tv nei principali campionati europei sono aumentati a dismisura: raddoppiati o addirittura o triplicati. Mentre noi, che una volta eravamo re, siamo cresciuti nemmeno del 20%. E adesso giochiamo addirittura al ribasso.

Per tacere della ridistribuzione. Con la pessima legge Melandri, peggio emendata dal decreto Lotti, solo in Italia le solite squadre prendono 80-100 milioni l’anno, mentre le piccole non arrivano 30 milioni. Una sperequazione che non ha eguali negli altri campionati, e rende il torneo sempre meno competitivo, e sempre meno attraente. E sempre meno vendibile. Il monopolio è sempre deleterio.

Perché se nel resto d’Europa i diritti tv incidono per il 30-40% del bilancio di una big e per il 50-60% di una piccola squadra, perché altrove i club riescono a generare introiti da altre voci, come sponsor, stadi, marketing, merchandising e indotti vari, in Italia l’incidenza della televisione sui ricavi parte dal 40-50% delle big e arriva al 70-80% delle piccole. Questo significa che mentre dalle tv arrivano sempre meno soldi, questi incidono sempre di più.

E in mancanza di alternative allora meglio mettere su teatrini dell’assurdo, con i vari Cairo, Lotito e De Laurentiis che fingono di litigare. E poi si abbracciano, e poi fanno pace e poi urlano ancora. E poi attaccano la pirateria, come se fosse quella il problema e non fosse invece la loro incapacità di immaginare qualcosa di decente. D’altronde leggenda vuole che sul Titanic mentre si affondava l’orchestra continuasse a suonare.