Yemen, «una prigione segreta nello stabilimento Total»

Una serie di inchieste punta il dito contro la multinazionale dell'oil&gas e contro lo Stato francese: «Potevano non sapere cosa avveniva in quel sito?»

Un sito di Total nello Yemen è sospettato di essere stato trasformato in prigione segreta © Laurent Vincenti/Wikimedia Commons

L’inferno sulla Terra. Il racconto di un soldato detenuto presso il sito industriale della Yemen LNG a Balhaf, nel golfo di Aden, è agghiacciante. «Sei arrivato qui e qui ti ammazzeremo, non uscirai mai», gli veniva detto dalle guardie del luogo. Il “luogo”, in realtà, non era un penitenziario ma un impianto per la lavorazione del gas. Di proprietà al 39,6% della compagnia francese Total, assieme all’americana Hunt Oil (17,2%), a delle società coreane (21,4%) e a delle imprese pubbliche yemenite (21,7%). E trasformato improvvisamente, nel 2017, in prigione segreta.

«Trattamenti disumani e detenzioni arbitrarie»

La reale natura di parte del sito di Balhaf è stata documentata in un rapporto pubblicato dalle Ong Observatoire des armements e SumOfUs, in collaborazione con l’associazione Les Amis de la Terre. Nel testo si citano tre testimoni, che parlano di detenzioni arbitrarie di cittadini yemeniti, almeno nel biennio 2017-2018. Di trattamenti disumani e degradanti, Di privazione di cure, di torture. Il tutto sotto il controllo di forze legate agli Emirati Arabi Uniti, nazione impegnata nella guerra contro i ribelli sciiti houti, nell’ambito di una coalizione militare internazionale a guida saudita.

«Mi hanno chiuso in una cella. Poi mi hanno riempito di pugni e bastonate. Mi hanno trascinato tenendomi per la barba. Colpito al volto. Mi hanno fatto credere che i miei compagni di cella mi avessero tradito. Mi hanno accusato di far parte dell’Isis», ha affermato un uomo che ha passato alcune settimane a Balhaf. Già un anno e mezzo fa i primi sospetti sulla presenza di prigioni segrete nello Yemen erano stati avanzati da Amnesty International.

Il ruolo degli Emirati e di una tribù locale che sorveglia il sito (e i detenuti)

Di recente, la nuova inchiesta ha riempito le prime pagine dei giornali transalpini. Che si sono interrogati su cosa sappiano Total, da un lato, e lo Stato francese, dall’altro. È del quotidiano Le Monde la ricostruzione più dettagliata. «Le detenzioni pongono interrogativi – scrive la testata parigina – sul ruolo della Yemen LNG e del gruppo francese. Quest’ultimo poteva ignorare cosa avveniva all’interno del proprio sito, nel quale degli impiegati yemeniti curano le installazioni industriali? Quali scambi ha avuto la Yemen LNG con una forza tribale locale diretta dagli Emirati, che secondo numerose testimonianze garantisce la sicurezza esterna del perimetro ma anche la sorveglianza dei detenuti?».

E ancora: «Total e lo Stato francese, che ha sostenuto finanziariamente il progetto nello Yemen, non potevano ignorare che numerosi abitanti della città di Shabwa evocavano arresti e detenzioni arbitrarie nella provincia. Puntando il dito proprio contro Balhaf, principale base della coalizione a guida saudita nell’area».

Il giornale francese cita tuttavia un ufficiale degli Emirati che ha negato ogni accusa. Parlando di «propaganda finalizzata a screditare gli sforzi condotti nel tentativo di neutralizzare i terroristi di al-Qaida». Mentre Total «non ha né negato né confermato l’esistenza di una prigione a Balhaf».

francia macron philippe
Il presidente e il primo ministro della Francia, Emmanuel Macron e Edouard Philippe © Wikimedia Commons

«Dal sito della Total lanciate importanti operazioni militari»

Ciò che si sa è che alla metà del 2017 il gruppo petrolifero ha dovuto accettare una richiesta del governo yemenita. Che voleva requisire una parte del sito industriale. Le forze degli Emirati hanno quindi occupato alcuni edifici, potendo utilizzare elettricità, docce, una mensa, una piattaforma di atterraggio per elicotteri e una pista per aerei di piccole dimensioni.

In breve, così, Belhaf è diventata una basa avanzata. Dalla quale sono state lanciate importanti operazioni militari nella provincia di Shabwa, in particolare nell’agosto del 2017. Il collettivo di giornalisti Disclose ha rivelato una nota confidenziale trasmessa al consiglio ristretto dell’Eliseo il 3 ottobre 2018. Nella quale si valuta l’uso di armi francesi da parte dell’Arabia saudita e dei loro alleati nella guerra nello Yemen.

Secondo il documento, a Belhaf sarebbero stati dispiegati elicotteri da trasporto da combattimento e blindati. Si sa anche che i circa 800 membri del «comitato tribale» che si occupava di controllare il perimetro fanno parte di una milizia ufficialmente governativa. Ma che in realtà sarebbe formata, armata e pagata dagli Emirati.

«Nella provincia – scrive Le Monde – questa “forza d’élite” conta circa 4mila uomini. E altri 20mila nella provincia vicina di Hadramaout. Con essa gli Emirati comprano la pace sociale: circa 450 euro al mese a testa». E pazienza se l’organizzazione yemenita di difesa dei diritti umani Mwatana «ha documentato degli abusi da parte di tali combattenti, tra cui “sparizioni” e detenzioni arbitrarie».

Le associazioni chiedono una commissione parlamentare d’inchiesta

Di fronte a questo contesto, secondo Tony Fortin, dell’Observatoire des armements, «è fondamentale attivare un reale controllo parlamentare sulle politiche di difesa. Si potrebbe creare una commissione parlamentare permanente, che esamini regolarmente gli accordi di cooperazione militare sottoscritti dalla Francia».

«Queste rivelazioni – gli ha fatto eco Eoin Dubsky, militante di SumOfUs, devono spingere i deputati ad assumersi le loro responsabilità. La politica francese nello Yemen è realizzata ufficialmente in nome della guerra al terrorismo, in virtù degli accordi con gli Emirati Arabi Uniti. Ma le nostre rivelazioni dimostrano che è urgente indagare».