Armi italiane in Yemen, le associazioni ricorrono contro l’archiviazione

Le organizzazioni per i diritti umani contestano la decisione di archiviare le indagini penali sull'export di armi italiane nello Yemen

I resti di un bombardamento a Sanna, capitale dello Yemen, ottobre 2015 © Almigdad Mojalli:VOA

Tre organizzazioni per i diritti umani hanno impugnato la decisione della Procura di Roma di archiviazione delle indagini sulla responsabilità penale di alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti (UAMA) nonché dei dirigenti dell’azienda RWM Italia per le esportazioni di armi potenzialmente collegate a un attacco aereo mortale sul villaggio Deir Al-Ḩajārī in Yemen avvenuto l’8 ottobre 2016. La richiesta di indagine è stata inizialmente presentata nell’aprile 2018 da Mwatana for Human Rights (Yemen), dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani ECCHR (Berlino).

Nel febbraio 2021 il giudice per le indagini preliminari di Roma ha ordinato la prosecuzione dell’indagine penale. Ma il pubblico ministero ha deciso di non procedere ulteriormente. Il ricorso presentato dalle tre organizzazioni sostiene che ci sono prove sufficienti nel caso per passare direttamente al processo.

Il rischio che le armi potessero essere usate in attacchi illegali era noto già nel 2015

«Chiedere l’archiviazione del caso dopo quasi quattro anni di indagini è un duro colpo per tutti i sopravvissuti agli attacchi aerei in questione», sottolineano le organizzazioni. Senza un obiettivo militare identificabile l’uccisione e il ferimento di civili non sarebbero “danni collaterali”, ma il risultato di un attacco deliberato contro i civili.

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Una foto del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite testimonia la distruzione nello Yemen © Undp

«Il rischio che le armi esportate da RWM Italia potessero essere usate in attacchi illegali in Yemen era già ampiamente noto nel 2015. Se i dirigenti di RWM Italia e i funzionari dell’UAMA sono complici dei gravi crimini commessi dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi e dai loro partner, devono essere ritenuti responsabili», hanno evidenziato le tre organizzazioni della società civile in una dichiarazione congiunta.

Crimini di guerra in Yemen

Dall’inizio del conflitto armato in Yemen nel settembre 2014 e dalla sua escalation nel marzo 2015, gli organismi delle Nazioni Unite, le ONG internazionali e le organizzazioni yemenite hanno documentato ripetute violazioni del diritto umanitario internazionale commesse dalle parti in guerra. Molti rapporti hanno concluso che gli attacchi aerei condotti dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi possono equivalere a crimini di guerra.

Secondo le organizzazioni promotrici dell’azione legale, la decisione del Procuratore italiano dimostra la mancanza di volontà di indagare su questo caso. Il pubblico ministero, sottolineano, si è astenuto dall’indagare il ruolo e la responsabilità dei dirigenti aziendali di RWM Italia. E ha limitato la portata delle sue indagini al reato di abuso di potere da parte delle autorità italiane di esportazione. Un approccio che secondo le organizzazioni trascura completamente la dimensione della responsabilità aziendale nel caso. Così come la gravità del crimine a cui queste esportazioni di armi possono aver contribuito.

«Questa decisione restringe ulteriormente la via della giustizia per le vittime dell’attacco aereo», ha dichiarato Radhya Almutawakel, presidente di Mwatana for Human Rights. «Ancora oggi i loro parenti non sono stati in grado di ricostruire le loro case e le loro vite. Meritano un’indagine completa sul ruolo dell’Italia nei devastanti attacchi della coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti».

La salvaguardia dei posti di lavoro non può violare il divieto di esportazioni di armi

La richiesta di archiviazione del procuratore, dichiarano i ricorrenti, ignorerebbe deliberatamente le prove-chiave raccolte nel corso delle indagini. Come il fatto che un anello di sospensione prodotto da RWM Italia faceva parte di una spedizione verso l’Arabia Saudita tra aprile e novembre 2015. In un momento in cui la comunità internazionale era pienamente consapevole della situazione di conflitto in Yemen. E aveva già condannato potenziali crimini di guerra presumibilmente commessi dalla coalizione guidata dai sauditi.

Le giustificazioni addotte da UAMA per autorizzare le esportazioni di armi elencavano, tra le altre cose, la generazione di posti di lavoro. Così come la condizione finanziaria di RWM Italia. Ma, ricordano i ricorrenti, «come il giudice per le indagini preliminari di Roma ha stabilito l’anno scorso, l’obbligo dello Stato di salvaguardare i livelli di occupazione non può giustificare una deliberata violazione delle norme che vietano le esportazioni di armi verso Paesi potenzialmente responsabili di gravi crimini di guerra».