Da fossili a rinnovabili: la transizione energetica è anche del lavoro
La transizione energetica richiede lavoratori specializzati: chi proviene dal settore fossile deve essere formato. Il caso di Aberdeen
Il 31 luglio 2022 un piccolo gruppo di 30 dimostranti ha eluso i controlli di sicurezza e si è intrufolato nella base marina di Torry, nel porto di Aberdeen. Dove ogni giorno attraccano navi cariche di petrolio estratto al largo del Mare del Nord.
I manifestanti facevano parte di un piccolo comitato, chiamato “Friends of Saint Fittick’s Park”, che chiede la salvaguardia dell’omonimo parco attraverso la creazione di una Energy Transtition Zone (ETZ). Perché questo è il punto: per salvare il verde di Aberdeen è necessario puntare sulla transizione energetica. Dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili.
La transizione energetica richiede formazione e nuove competenze
Aberdeen è una città portuale nel nord della Scozia che si caratterizza in tutta la Gran Bretagna come principale distretto di estrazione petrolifera, in particolare offshore. Dalla scoperta del petrolio nel Mare del Nord negli anni Settanta, la città si è guadagnata diversi soprannomi. Come “capitale europea del petrolio”, ma anche “capitale europea dell’energia”.
E questo secondo soprannome può valere anche per il futuro di Aberdeen. Perché la sua transizione energetica è effettivamente iniziata e può segnare la strada al resto d’Europa. In particolare, l’eolico offshore può sostituire facilmente le attuali piattaforme di estrazione del Mare del Nord. Ma, per farlo, nuove competenze sono indispensabili.
Questa domanda di transizione è supportata dalle richieste sempre più numerose da parte dei lavoratori impiegati attualmente nel settore petrolifero. I quali chiedono di essere formati per poter trasferire le loro competenze al mondo dell’energia rinnovabile.
Come accompagnare la transizione energetica della forza lavoro
Prima la pandemia e poi la recessione nell’industria energetica sono stati i due fattori principali che hanno spinto diversi lavoratori impiegati nell’estrazione di combustibili fossili a cambiare carriera. Proprio per entrare nel comparto delle energie rinnovabili.
Così, la forza lavoro del nord-est della Scozia può rappresentare oggi una sorta di banco di prova per ciò che potrebbe accadere in altre parti del mondo. Il bacino di estrazione di combustibili fossili invecchia mentre l’industria delle energie rinnovabili è in rapida crescita. Guardare alla Gran Bretagna in questo momento può dunque servire a rispondere alla domanda: come accompagnare questa conversione della forza lavoro?
Transizione e lavoro
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La formazione è troppo spesso a carico dei lavoratori
Il governo del Regno Unito ha dato un importante segnale quando nel 2021 ha sviluppato un piano per garantire ai lavoratori del settore petrolifero e del gas nuove opportunità professionali. Intanto sono nate anche organizzazioni, come la National Energy Skills Accelerator, specializzate nell’aiutare i lavoratori del Mare del Nord a non trovarsi impreparati davanti all’imminente transizione.
Per i dipendenti delle grandi società energetiche integrate, come BP ed Equinor, il cambiamento può essere abbastanza agevole. La formazione professionale, infatti, è a carico del datore di lavoro. Ma la stessa cosa non vale per le piccole società.
Un’indagine su oltre 600 lavoratori offshore nel settore petrolifero e del gas pubblicata da Greenpeace, ha rilevato che troppi lavoratori devono pagare di tasca propria (fino a 1.800 sterline) i corsi di formazione per apprendere le competenze necessarie a lavorare nel nuovo settore delle rinnovabili. Questo in un momento in cui le società del petrolio e del gas stanno registrando profitti enormi.
Più posti di lavoro nelle rinnovabili che nelle fossili
Insomma, tanto più i lavoratori saranno preparati a lavorare nel campo delle energie rinnovabili e più la transizione energetica sarà rapida ed efficace. Anche perché ormai i numeri parlano chiaro. Per la prima volta nella storia, infatti, il numero di posti di lavoro nel settore delle rinnovabili ha superato quello dei combustibili fossili.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), dei 65 milioni di posti di lavoro nel settore energetico, più di 35 sono legati all’energia pulita. «Stimiamo che l’occupazione totale nel settore energetico nel 2021 sia aumentata di circa 1,3 milioni rispetto al 2019. E potrebbe crescere di altri sei punti percentuali entro il 2022. L’energia pulita rappresenta la quasi totalità della crescita dell’occupazione nel settore energetico», si legge nel rapporto. In totale, da qui al 2030 verranno creati 14 milioni di posti di lavoro nelle energie pulite. E altri 16 saranno quelli interessati dalla conversione.
Come fa notare Francesco La Camera, direttore generale dell’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (Irena), «i posti di lavoro nelle rinnovabili sono più resilienti. E si sono dimostrati un motore affidabile per la creazione di nuova occupazione». Per questo i governi sono sempre più chiamati a perseguire politiche industriali che incoraggino la creazione di posti di lavoro – dignitosi – nel settore delle fonti pulite.