I colossi petroliferi continuano a investire nella catastrofe climatica
I piani di sviluppo delle compagnie oil & gas ci porteranno alla catastrofe climatica. E non c'entrano nulla con la sicurezza energetica
Catastrofe climatica. Sono queste le parole chiave del nuovo rapporto del think tank Carbon Tracker, intitolato Paris Maligned. Numeri alla mano, e a dispetto di ogni richiesta della scienza o dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), le grandi aziende nel settore oil & gas continuano a puntare sulla catastrofe climatica, programmando nuovi investimenti in estrazione che renderanno molto difficile rimanere all’interno dei parametri di salvezza stabiliti dall’Accordo di Parigi del 2015, cioè un aumento delle temperature globali ben al di sotto di 2°C e il più possibile vicini a 1,5°C.
Per centrare questo obiettivo, le emissioni devono quasi dimezzarsi entro la fine di questo decennio. Secondo gli scenari proposti dalla Iea nel rapporto Net Zero Emissions by 2050 (la bibbia della decarbonizzazione), la produzione oil & gas deve quindi calare del 22% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2030 e del 44% entro il 2035. Questa sarebbe la regola, appunto, ma la pratica finanziaria ed estrattiva va esattamente nella direzione opposta. Highway to hell, direbbero gli AC/DC e il segretario generale dell’Onu António Guterres. Catastrofe climatica, suggerisce Carbon Tracker.
156 miliardi di dollari investiti in nuove estrazioni di gas e petrolio
Secondo questo rapporto, nel 2021 e nella prima parte del 2022 Chevron, Eni, Shell, TotalEnergies e gli altri giganti del settore hanno approvato un totale di nuovi investimenti estrattivi di petrolio e gas che arriva a 156 miliardi di dollari.
Di questi piani di sviluppo, un terzo (58 miliardi di dollari) comprende quelli più pericolosi, ampi e ad alto impatto, quelli con una traduzione climatica di un aumento delle temperature di oltre 2,5°C. La catastrofe, appunto. Il resto in ogni caso non è allineato per la quota mediana di 1,7°C (tra 1,5°C e 2°C). Addio Parigi, insomma: il 62% degli investimenti oil & gas sul piatto non è coerente con l’accordo del 2015, firmato da tutti i paesi della convezione Onu sul clima. Tra i piano di sviluppo meno allineati ci sono quelli di Occidental Petroleum, ConocoPhillips e EOG. Di tutte le grandi aziende petrolifere, solo tre hanno almeno messo nero su bianco che a un certo punto ridurranno la produzione. E solo una, BP, ha annunciato di poterlo fare entro il 2030.
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Quali sono i progetti che ci porteranno alla catastrofe climatica
Il rapporto è pieno di esempi di progettazione di una catastrofe climatica su larga scala. Saudi Aramco, il gigante petrolifero di Stato saudita, è il più nocivo di tutti per le prospettive dell’Accordo di Parigi. Nei prossimi cinque anni non farà che aumentare la produzione dell’8% totale rispetto ai livelli del 2021.
Tra i progetti più controversi e pericolosi per il futuro del genere umano, i pozzi di petrolio del Lago Alberto in Uganda (TotalEnergies, Kingfisher South e CNOOC), con il greggio che sarà trasportato dal famoso e contestato oleodotto East Africa Crude Oil Pipeline (EACOP), il più lungo al mondo, un tubo riscaldato gigante dai parchi nazionali dell’Uganda fino all’Oceano indiano, un progetto che raggiungerà il picco di produzione nel 2027. O il giacimento di gas Scarborough, al largo dell’Australia occidentale. O ancora Yellowtail in Guyana, operato da ExxonMobil, 5 miliardi di dollari di investimento.
Il settore che da un punto di vista climatico deve iniziare a ridurre più in fretta è per esempio quello del gas di scisto (o shale gas), uno dei principali prodotti da esportazione degli Stati Uniti. Ma ExxonMobil aumenterà la produzione dalle estrazioni del Permian Basin, l’immenso giacimento tra Texas occidentale e New Mexico, del 69 per cento. Altro aspetto di cui tenere conto: i costi di smantellamento di questi pozzi una volta che saranno esausti. Solo quelli di ExxonMobil costeranno 2,7 miliardi di dollari, l’insieme di quelli negli Stati Uniti 288 miliardi di dollari.
Investire in gas e petrolio non ha nulla a che vedere con la sicurezza energetica
Un punto fondamentale sollevato da Carbon Tracker è che la narrativa della sicurezza energetica – «dobbiamo farlo perché ci sono la guerra e la crisi, bisogna proteggere famiglie e imprese» – non regge. «Non ci sono prove che nuovi investimenti in petrolio e gas abbasseranno i prezzi e ridurranno i problemi di approvvigionamento del mercato energetico». Le nuove estrazioni non hanno un tempo di realizzazione basso. Per perforare e iniziare a distribuire i combustibili fossili servono tra i cinque i dieci anni da quando parte il cantiere. Questi piani di sviluppo oil&gas insomma non risolvono i problemi del presente (inverni freddi, costi alti); in compenso, scrivono il mix energetico dei prossimi due decenni. Sono insomma allo stesso tempo una condanna climatica, un grande rischio finanziario e non portano nessuna soluzione per le difficoltà odierne di famiglie e imprese.
Il rapporto contiene anche una richiesta ai beneficiari degli investimenti, come i fondi pensione: valutare i rischi complessivi dei piani di sviluppo di queste imprese, compresi quelli ecologici e reputazionali. Oltre ovviamente al rischio maggiore per un investitore, quello di ritrovarsi con un portafoglio pieno di stranded asset, infrastrutture senza valore o prospettiva, progressivamente incalzate da tecnologie più competitive, aggiornate, economiche e sostenibili.