Barclays finanzia le fossili. E la ong Christian Aid sposta il suo conto
È giusto avere un conto in una banca fossile? No, per la ong britannica Christian Aid. Che sposta quasi 20 milioni di euro da Barclays
Ogni anno, a dicembre, esce un report sui disastri climatici che hanno provocato più danni in termini economici. La firma è quella dell’organizzazione no profit britannica Christian Aid. La stessa che negli anni ha assistito le comunità della Valle dell’Omo, in Etiopia, dopo una grave siccità; ha aiutato i piccoli produttori nicaraguensi di miele e cacao a sviluppare resilienza alla crisi climatica; ha pubblicato uno studio per cui, di questo passo, una città come Londra potrebbe ritrovarsi senz’acqua nel giro di un quarto di secolo.
Un’organizzazione così consapevole, così schierata con la scienza, può restare legata a una banca che foraggia l’industria dei combustibili fossili, principali responsabili dei cambiamenti climatici in corso? La logica vorrebbe di no. Motivo per cui Christian Aid ha spostato il suo conto da Barclays a Lloyds.
Barclays nella top 10 delle banche fossili
I numeri, inequivocabili, arrivano dal rapporto Banking on Climate Chaos 2023. La londinese Barclays è al settimo posto nella classifica delle banche finanziatrici delle fonti fossili, con oltre 190 miliardi di dollari erogati tra il 2016 e il 2022. Cioè dopo la firma dell’Accordo di Parigi, con cui gli Stati si sono impegnati a limitare la crescita della temperatura media globale entro i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, facendo tutto il possibile per restare entro gli 1,5 gradi entro la fine del secolo.
Barclays è stata particolarmente generosa con ExxonMobil, finanziandola con quasi 13 miliardi di dollari in sette anni. Nel 2022 ha fatto alcuni passi avanti, annunciando lo stop dei finanziamenti all’estrazione di petrolio da sabbie bituminose. Ma ha comunque stanziato oltre 3,4 miliardi di dollari per il fracking (arrivando a un clamoroso totale di 33,8 miliardi in sette anni). E ha trovato pure 22 milioni per le imprese che trivellano l’Artico e 6 per quelle che cercano gas e petrolio in Amazzonia.
Christian Aid taglia i ponti con Barclays
Alla luce di questi dati, Christian Aid ha deciso che c’era una sola cosa da fare: spostare il proprio conto bancario altrove. «Sebbene Barclays sia stata in grado di fornire servizi bancari anche in contesti fragili, i suoi precedenti nei finanziamenti alle fonti fossili e il suo debole impegno per futuri miglioramenti in quest’area ha significato che dovevamo cercare un fornitore più adeguato». Lo fa sapere tramite una nota il chief operating officer di Christian Aid, Martin Birch.
Dannose in tutti i sensi
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Un fornitore che è stato identificato in Lloyds. Una banca anch’essa inglese, anch’essa in grado di far arrivare denaro anche in Paesi delicati come la Siria, il Myanmar o l’Afghanistan, ma ritenuta meno esposta verso le fonti fossili. Nella classifica di Banking on Climate Chaos figura infatti al 48mo posto su 60, con poco più di 15 miliardi erogati nell’arco di sette anni. E nel 2022 ha annunciato che non finanzierà più nuovi giacimenti di petrolio e gas.
Per Barclays il danno è d’immagine, e non solo. Christian Aid infatti è una delle maggiori organizzazioni britanniche che si occupano di cooperazione allo sviluppo, con entrate pari a 78,4 milioni di sterline nel 2022. E sposterà un conto che aveva aperto nel 2015, depositanodo circa 16,5 milioni di sterline. Cioè quasi 20 milioni di euro.