Clima, cosa possiamo aspettarci davvero dalla Cop28
Il 30 novembre si aprono a Dubai dei negoziati cruciali per il clima. Ecco perché la Cop28 potrebbe essere l’ennesimo fallimento o un successo inaspettato
Azioni climatiche insufficienti, investimenti nell’adattamento che sfiorano il ridicolo , l’amministratore delegato di un colosso del petrolio a dirigere i negoziati, migliaia di miliardi di dollari che continuano ad essere versati nelle casse delle compagnie fossili che, imperterrite, insistono nell’investire in progetti nefasti in termini di riscaldamento globale. È innegabile che il processo di avvicinamento alla ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite – la Cop28 in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre – lasci poco spazio all’ottimismo. Tuttavia, l’appuntamento resta cruciale.
Cop28, perché noi ci saremo
In primo luogo per la ragione che ha convinto centinaia di organizzazioni non governative e associazioni ad essere comunque a Dubai, nonostante il dibattito sviluppatosi nell’ultimo anno sull’opportunità di partecipare o meno alla conferenza. Valori, come ogni anno, seguirà da vicino i negoziati. Saremo presenti a Dubai e garantiremo la copertura dei negoziati con articoli, contenuti Instagram e il nostro Copcast, il diario della Cop28 sotto forma di podcast.
Il motivo è semplice. Benché dal 2015 – anno della Cop21 che portò all’Accordo di Parigi – di passi avanti concreti non ne siano stati fatti molti (senz’altro non abbastanza) le Cop restano la sola speranza che abbiamo. «Non esiste alcun altro spazio di tale ampiezza per i negoziati climatici, in grado di permettere l’adozione di un quadro mondiale per l’azione da parte dei governi», sottolinea giustamente il Climate Action Network.
I negoziati sotto egida Onu restano dunque essenziali. Anche perché l’ultima Cop27 di Sharm el-Sheikh ha volutamente “dimenticato” la questione della mitigazione, concentrando la propria attenzione sulla necessità di portare a casa un risultato sul loss and damage.
Il mondo va verso 2,5-2,9 gradi centigradi di riscaldamento globale
La necessità di concentrarsi fortemente sull’abbattimento delle emissioni climalteranti è confermata (qualora mai ce ne fosse stato bisogno) dal fatto che l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi, come indicato proprio dall’Accordo di Parigi, è sempre meno a portata di mano.
A certificarlo è il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, un cui recente rapporto spiega che la traiettoria attuale in materia di riduzione delle emissioni porterà la temperatura media globale ad aumentare molto di più. Si prevede infatti una forchetta compresa tra 2,5 e 2,9 gradi. E ciò a condizione che tutte le promesse di riduzione avanzate dai governi di tutto il mondo vengano rispettate per intero. Cosa che non è affatto detta, non fosse altro per i possibili cambiamenti di governo in ciascuna nazione.
«Servono sforzi da record, per risultati da record»
«I dirigenti di tutto il mondo devono moltiplicare gli sforzi in modo straordinario, proponendo piani da record e azioni da record al fine di ottenere riduzioni dei emissioni da record», ha tuonato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Secondo il quale è più che mai necessario «estirpare le radici avvelenate della crisi climatica: le energie fossili».
Ed è proprio nella transizione energetica che occorre trovare la spinta necessaria per dare un senso alla Cop28. Ciò pur sapendo, come indicato dalla direttrice esecutiva dell’Unep Inger Andersen, che «abbiamo ancora molto lavoro da fare poiché, per ora, non siamo in alcun modo nel posto dove dovremmo essere. Tenuto conto dell’intensità degli impatti climatici ai quali già assistiamo, non possiamo accettare né di arrivare a 2,5 gradi né, tantomeno, a 2,9».
Il tema della giustizia climatica
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Mantenerci sulla traiettoria attuale, infatti, significa passare da una situazione di crisi climatica a una di catastrofe. Basti pensare che gli sconvolgimenti attuali – tra ondate di caldo estremo, episodi di siccità devastanti, fenomeni meteorologici sempre più violenti e frequenti – si stanno manifestando con un aumento della temperatura media globale di “soli” 1,2 gradi.
La possibile volontà di Sultan al-Jaber di passare alla storia con la Cop28
Di fronte a tale situazione, però, come si può pensare di rendere la Cop28 un successo se a guidarla sarà l’amministratore delegato del colosso emiratino del petrolio Adnoc, Sultan Ahmed al-Jaber? È chiaro che la scelta di imporre un tale conflitto di interesse al vertice della conferenza sembra poter essere spiegata solo con la volontà di mantenere lo status quo. Tuttavia, una speranza potrebbe arrivare proprio dalla volontà degli Emirati, e in generale dei Paesi del Golfo, di effettuare, paradossalmente, una gigantesca manovra di greenwashing.
Alla Cop26 di Glasgow, infatti, per due settimane si è tentato, invano, di imporre al mondo l’abbandono della fonte fossile in assoluto più dannosa per il clima: il carbone. Come noto, le nazioni del Golfo concentrano i propri business e le proprie attenzioni soprattutto sul petrolio. La diplomazia emiratina, perciò, potrebbe spingere in questo senso, allettata dalla prospettiva di porsi come «la presidenza che inaspettatamente è per prima riuscita a far dire addio al carbone». Certo, la contropartita con ogni probabilità potrebbe essere rappresentata da un deleterio salvataggio del petrolio. E certo, non è affatto detto che un simile piano (ammesso che esista) non possa naufragare di fronte all’opposizione delle nazioni carbonifere del mondo. A cominciare da India, Australia o ancora Polonia.
Triplicare la capacità installata delle rinnovabili entro il 2030 è possibile
Al contempo, al-Jaber potrebbe mostrarsi aperto sul fronte dello sviluppo delle rinnovabili. Già in una lettera ai governi pubblicata a metà ottobre aveva lanciato un appello a triplicare la potenza installata di fonti pulite di qui al 2030 in tutto il mondo. Ricalcando in questo senso l’appello giunto già nel 2021 dall’International Energy Agency.
In questo senso, sostiene un rapporto del think tank Ember, l’obiettivo di moltiplicare per tre la potenza installata è in realtà a portata di mano. Ciò, naturalmente, a condizione che gli Stati aumentino radicalmente i loro impegni. L’organizzazione ha analizzato infatti tutti gli obiettivi nazionali fissati da 57 nazioni assieme dai Paesi membri dell’Unione Europea. Che, complessivamente, rappresentano il 93% della capacità mondiale da fonti rinnovabili. I risultati indicano che, ad oggi, i governi prevedono un raddoppio, passando dai 3.400 gigawatt del 2022 a 7.300 GW nel 2030.
Secondo Ember, però, un ipotetico obiettivo fissato a 11mila gigawatt non è impossibile. Anche prendendo in considerazione la recente accelerazione nel settore delle rinnovabili. «Stiamo assistendo a una rivoluzione, anche se essa non figura negli obiettivi ufficiali governativi», ha spiegato Katye Altieri, analista del think tank.
Alla Cop28 si discuterà il primo bilancio mondiale dell’azione climatica
In questo senso, un altro risultato fondamentale è atteso dalla Cop28. Per la prima volta, infatti, dovrà essere discusso, scritto e approvato un bilancio mondiale dell’azione climatica. Ovvero un documento che faccia il punto su ciò che è stato e ciò che non è stato fatto finora. Anche e soprattutto al fine di comprendere come procedere nel prossimo futuro.
«Il bilancio mondiale non sarà altro che l’ennesimo rapporto, se i governi e coloro che li rappresentano non comprenderanno cosa significa e cosa implica che essi facciano in seguito. E lo stesso vale per le imprese, per le comunità e per tutte le altre parti coinvolte», ha affermato Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.