Un anno di emissioni, nove aziende, 360mila morti
Un rapporto di Greenpeace stima il numero di morti causate dalle emissioni di nove compagnie petrolifere e del gas
La crisi climatica ha già oggi impatti sulla salute umana, in molti modi diversi. Possiamo, per esempio, considerare le morti e le malattie causate dai sempre più frequenti eventi meteorologici estremi. Oppure gli effetti sui sistemi alimentari e sulla produzione di cibo che aggraveranno il problema della fame per decine di milioni di persone nel mondo. I cambiamenti climatici faranno aumentare le zoonosi e le malattie trasmesse da acqua e cibo. Per non parlare, poi, dei problemi di salute mentale.
Nel rapporto “Emissioni di oggi, morti di domani. Come le principali compagnie petrolifere e del gas europee mettono a rischio le nostre vite” Greenpeace Paesi Bassi denuncia il numero di morti che saranno causate alla fine del secolo dalle emissioni delle nove principali compagnie petrolifere e del gas nel solo 2022: parliamo di 360mila morti premature nel mondo, soprattutto nel Sud globale. L’equivalente degli abitanti di una città come Firenze.
La metodologia utilizzata per stimare i decessi causati dalle emissioni dei combustibili fossili
Che i combustibili fossili siano i principali responsabili della crisi climatica è riconosciuto in modo pressoché unanime dalla comunità scientifica, checché ne dica il presidente della Cop28 Sultan al-Jaber. Le aziende del settore conoscono da decenni gli effetti climalteranti delle loro attività. E ciononostante hanno continuato ad estrarre e bruciare combustibili fossili, facendo disinformazione presso il grande pubblico ed esercitando pressione sui decisori per rallentare politiche di regolamentazione.
Le aziende considerate da Greenpeace nel proprio studio sono Shell, TotalEnergies, BP, Equinor, Eni, Repsol, OMV, Orlen e Wintershall Dea. La metodologia utilizzata, sviluppata dal ricercatore americano R. Daniel Bessler, permette di stimare il numero di decessi causati dal riscaldamento globale causato dell’emissione di una tonnellata aggiuntiva di CO2. Nella ricerca si è scelto come anno di riferimento il 2022, con le relative emissioni, e sono state stimate le morti in eccesso rispetto a uno scenario privo delle emissioni causate dalle nove aziende considerate.
Per lo studio si è considerato uno scenario climatico che porti l’aumento delle temperature medie globali a +2,4° centigradi alla fine del secolo. I dati delle emissioni delle aziende sono presi dai report pubblicati dalle stesse e comprendono le tre categorie: scope 1, scope 2 e scope 3.
Una stima al ribasso
Gli autori dello studio sottolineano che i risultati devono essere considerati conservativi per almeno tre ragioni. Innanzitutto, il calcolo si basa sulle emissioni di gas climalteranti autodichiarate dalle aziende. Ma queste emissioni potrebbero essere più elevate, soprattutto per quanto riguarda lo scope 3, ovvero le emissioni indirette. Nel 2022 Greenpeace Francia ha pubblicato un rapporto che, utilizzando le stesse metodologie di calcolo usate dall’azienda, metteva in discussione la contabilizzazione delle emissioni di TotalEnergies. Secondo i calcoli stimati, le emissioni effettive sarebbero state quasi quattro volte superiori a quelle dichiarate.
In secondo luogo, le morti in eccesso calcolate sono solo quelle correlate alle variazioni di temperatura, ovvero quelle causate da calore estremo e freddo intenso. Non sono considerati i decessi dovuti agli eventi meteorologici estremi, alle malattie infettive, all’inquinamento o ad altri pericoli derivanti dalla produzione e uso di combustibili fossili.
Infine, è lo stesso scenario climatico utilizzato ad essere conservativo. Altri scenari che prevedono un riscaldamento di 4,1° entro il 2100 comporterebbero un numero molto maggiore di morti premature per tonnellata di CO2 emessa.
La strategia di Eni non permetterà di centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi
Tra le nove aziende figura anche l’Italiana Eni. Che, nel 2022, ha dichiarato emissioni per 204,2 Mega tonnellate di CO2 equivalente (MtCO2 eq) di cui 39,4 MtCO2 eq nello scope 1; 0,8 MtCO2 eq nello scope 2; 164,0 MtCO2
eq nello scope 3. Secondo la metodologia di calcolo utilizzata nella ricerca queste emissioni porterebbero a 27mila morti premature entro il 2100. L’equivalente degli abitanti di una cittadina come Assisi.
La strategia di Eni prevede di continuare a puntare sui combustibili fossili, in particolare sul gas, nonostante la realtà della crisi climatica sia ormai sotto gli occhi di tutti. Entro il 2030 l’azienda punta a incrementare la produzione di gas fossile per portarla al 60% del totale delle attività aziendali. Rispetto alle proiezioni del 2022 si prevede un aumento di un
punto percentuale nella produzione ed estrazione annuale, passando dal 3% al 4% e raggiungendo un picco nel periodo compreso tra il 2026 e il 2030.
Un altro obiettivo dell’azienda è quello di raddoppiare i contratti di acquisto di gas naturale liquefatto (Gnl), passando da 9 mega tonnellate annue nel 2022 a 18 entro il 2026. Senza contare che Eni è in procinto di approvare nuovi progetti di estrazione di petrolio e gas per giacimenti contenenti 1,4 miliardi di barili di petrolio equivalente (BOE) di riserve. Solo il 20% degli investimenti del cane a sei zampe riguardano le energie rinnovabili. Nel 2030, la quota massima di rinnovabili sostenibili nel mix di approvvigionamento energetico di Eni rimarrebbe al di sotto del 7%.
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Si può perseguire penalmente l’industria dei combustibili fossili per omicidio?
Negli Stati Uniti alcuni esperti di diritto ambientale hanno iniziato a utilizzare l’espressione “omicidio climatico” per riferirsi alle morti causate dalle industrie che, pur consapevoli degli effetti climalteranti delle proprie attività, proseguono incuranti nel business as usual.
E in Italia? «L’art.452 ter del codice penale e, fra gli altri, il processo Eternit bis conclusosi a Novara nel giugno del 2023 ci insegnano che sia la morte quale conseguenza di un disastro ambientale, sia l’omicidio, inteso quale conseguenza conosciuta di scelte industriali, sono condotte penalmente rilevanti», sottolinea Greenpeace Italia. Si prepara forse una nuova stagione di climate litigation?