Cop30: che cos’è la roadmap per l’abbandono dei combustibili fossili
Alla Cop30 si discute una roadmap per uscire dai combustibili fossili e aumentare i fondi per l’adattamento, ma il negoziato resta molto complesso
La Cop30, l’incontro negoziale sul clima delle Nazioni Unite in corso in Brasile, è entrata nella sua settimana conclusiva. A celebrare l’inizio della fase decisiva è arrivato anche un messaggio di Papa Leone XIV: «Camminiamo al fianco di scienziati, leader e pastori di ogni nazione e credo», ha affermato rivolgendosi ai delegati. «L’Accordo di Parigi ha portato progressi concreti e continua a essere il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il Pianeta. Ma dobbiamo essere onesti: non è l’Accordo che sta fallendo, ma siamo noi che stiamo fallendo nella nostra risposta», ha ammonito il pontefice. «Quel che manca è la volontà politica di alcuni. Vera leadership significa servizio e sostegno in una misura che faccia davvero la differenza. Azioni climatiche più forti creeranno sistemi economici più forti e più equi. Azioni e politiche climatiche più forti sono entrambe un investimento in un mondo più giusto e stabile».
Se durante la prima metà del summit le notizie sono arrivate soprattutto da fuori, dalle proteste indigene ed ecologiste, da adesso si attendono novità sul fronte delle trattative. Molti ministri stanno atterrando in queste ore a Belém, dove la Cop si svolge. Alcune delle Parti coinvolte hanno iniziato a parlare della possibilità di una roadmap – cioè un piano circostanziato – per l’abbandono dei combustibili fossili. Una proposta dal forte valore politico, ma che sta incontrando l’opposizione di molte nazioni.
Cop30: perché la presidenza brasiliana punta a una roadmap sui combustibili fossili
Le Conferenze delle Parti (Cop) sul clima sono appuntamenti annuali organizzati dalle Nazioni Unite. Partecipano i governi di quasi tutto il Pianeta, e hanno il compito di concordare politiche comuni di contrasto al riscaldamento globale. Il 10 novembre si è aperta la trentesima edizione nella città brasiliana di Belém, al margine della foresta amazzonica. Si tratta di un incontro nato con premesse difficili. Gli Stati Uniti per la prima volta hanno deciso di non partecipare, e il presidente Donald Trump ha ordinato – per la seconda volta – l’uscita dall’Accordo di Parigi, il più importante trattato internazionale sul clima mai firmato. Anche l’Unione europea è arrivata stanca alla Cop30. La Commissione a guida Ursula von der Leyen sta ripensando alcune delle misure di sostenibilità decise nella precedente legislatura, e l’Unione non ha presentato in tempo le sue Nationally Determined Contributions (NDCs), gli impegni climatici da presentare regolarmente in sede Onu.
Le aspettative della vigilia, insomma, erano modeste. Ma nel corso della prima settimana alcune delle Parti, cioè dei governi, hanno iniziato ad avanzare proposte più ambiziose. Il Brasile, che ospita il summit ed esprime la presidenza, ha infatti lanciato mercoledì scorso l’idea di una roadmap per l’abbandono dei combustibili fossili. Si tratterebbe di un’evoluzione dell’esito della Cop28 di Dubai del 2023, dove si decise di «transitare al di fuori dei combustibili fossili» (transitioning away la locuzione usata) senza però indicazioni su modi e tempi.
Le divisioni politiche sulla roadmap
Il governo di centrosinistra di Lula Ignacio da Silva vorrebbe portare a casa un piano che dettagli questa transizione. Non è ancora chiaro come dovrebbe apparire la roadmap. Probabilmente dovrebbe includere delle date, ma la discussione è ancora ferma ad un livello precedente. Se diversi Paesi hanno espresso il loro supporto – circa una quarantina, comprese nazioni come Francia, Messico, Danimarca, Kenya, Colombia, Corea del Sud – i Paesi arabi si sono detti contrari, e pesi massimi come Cina e India appaiono come minimo scettici.
Durante le Cop si decide per consenso: in teoria, basta l’opposizione di un solo governo per far saltare un accordo. Le Nazioni Unite non hanno il potere di imporre l’attuazione delle politiche concordate durante i negoziati, ma un assenso di tutte le Parti su una roadmap con delle date specifiche per l’abbandono dei fossili sarebbe un segnale politico importante.
La proposta colombiana e gli altri nodi sul tavolo negoziale
La roadmap è stata messa sul tavolo dalla ministra dell’ambiente brasiliana, la carismatica attivista Marina Silva. Un altro Paese latinoamericano si è lanciato in una proposta simile: la Colombia. La ministra dell’ambiente Irene Vélez, di sinistra, pur appoggiando la proposta brasiliana, si è spinta più in là. L’idea del governo di Bogotà è una dichiarazione esterna al sistema delle Nazioni Unite, dove le nazioni più ambiziose si dotano in gruppo di un proprio piano comune di abbandono dei fossili.
Per ora, secondo la stampa specializzata, l’idea dei volenterosi per il clima ha trovato l’appoggio solo delle piccole nazioni insulari del Pacifico, di Panama e di alcune nazioni in via di sviluppo. La Colombia ha affiancato a questa idea, rivolta al mondo intero, una proposta regionale. Il governo ha infatti vietato le estrazioni di fossile nell’Amazzonia colombiana, e ha chiesto alle altre nazioni con territorio incluso nella Foresta di fare lo stesso. Nonostante il Brasile abbia dedicato la Cop30 proprio al tema delle foreste, non ha aderito all’iniziativa.
L’eventuale roadmap apparirebbe probabilmente nella cosiddetta cover decision, un testo dal valore principalmente politico che rappresenta, quando è prodotto, l’esito principale di una Cop. Ma a Belém proseguono le discussioni anche su altri punti.
Adattamento, finanza climatica e dispute sul Cbam
I Paesi cosiddetti in via di sviluppo hanno tentato e perso un braccio di ferro nel corso del summit dell’anno passato, la Cop29 di Baku, sul tema della finanza climatica. Le nazioni ricche si impegnarono all’epoca a dare 300 miliardi all’anno per la transizione nel cosiddetto Sud globale a partire dal 2035, ma senza stanziamenti reali né la garanzia che non si tratti di prestiti o sola finanza privata. In Brasile le nazioni africane, latinaomericane e asiatiche tornano alla carica con la richiesta, più modesta, di triplicare i fondi destinati all’adattamento. Ovvero, il denaro che serve per adattare i territori alle conseguenze ormai inevitabili della crisi climatica. Esiste un fondo Onu dedicato all’adattamento, che è un tema su cui difficilmente intervengono capitali privati. In teoria i Paesi contribuenti, sopratutto europei, dovrebbero versarci 300 milioni all’anno. Ma per ora si sono raggiunti circa 40 milioni, e la stima è che difficilmente si supereranno i 150 milioni. Le necessità relative all’adattamento sono in ogni caso molto maggiori, nell’ordine quantomeno dei miliardi di dollari.
La Cina, dal canto suo, sta attaccando duramente quelle che chiama «misure commerciali unilaterali». Il nemico è il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam), un dazio climatico imposto dall’Unione europea sui prodotti importati da Paesi che hanno regolazioni emissive meno stringenti. Servirebbe ad aiutare l’industria pulita locale, ma danneggia l’economia di Pechino, che ne chiede l’abolizione in cambio di passi avanti su altri dossier. Il Commissario per l’azione climatica europeo Wopke Hoekstra, atterrato ieri a Belém, ha risposto alle richieste cinesi accusando il Paese asiatico di non fare abbastanza per la decarbonizzazione.
Cosa aspettarsi ora: il “mutirão” brasiliano e le incognite sulla roadmap
Il Presidente della Cop30, il diplomatico brasiliano André Corrêa do Lago, ha pubblicato domenica una nota informale. Si tratta di un riassunto delle posizioni che le Parti hanno assunto rispetto ai temi chiave del negoziati, e secondo gli analisti sembra lasciare spazio sia alla triplicazione dei fondi per l’adattamento sia ad alcuni progressi sul tema del transitioning away. La presidenza ha annunciato l’intenzione di convocare un «mutirão» (letteralmente, sforzo congiunto). Di fatto, una sessione negoziale di ministri e capi delegazione per accelerare l’accordo. Mercoledì tornerà a Belém anche Lula, per provare a convincere le delegazioni più riluttanti, specie se dei Paesi che, come il suo Brasile, appartengono ai Brics.
Per arrivare ad una vera roadmap, cioè un piano completo di date e obiettivi misurabili, la strada è però ancora molto lunga. Non solo l’opposizione dei petro-Stati appare per ora immutabile, ma anche alcuni dei promotori – come il Brasile – stanno ampliando, e non riducendo, le estrazioni di idrocarburi. Anche le iniziative colombiane sembrano per ora lontane dall’avere un supporto soddisfacente.
Un punto di caduta minimo rispetto alla questione fossile potrebbe essere una cover decision senza date o numeri, ma con un linguaggio più forte di quello usato nei documenti della Cop28. «Transitioning away» fu infatti una formula un po’ ambigua e di compromesso: la prima proposta presentata a Dubai nel 2023 parlava di «phase-out», abbandono. La Cop30 potrebbe riprendere un linguaggio simile. Per oggi, martedì 17, è attesa una bozza di decisione finale divisa in due «pacchetti». Un primo per i temi su cui c’è più consenso, un secondo per quelli ancora in bilico. In ogni caso, un miglioramento solo in termini di wording avrebbe realisticamente effetti minimi, se non nulli, sulle emissioni globali.




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