Due big delle fossili scaricano le proprie lobby: «Sul clima troppo indietro»
Le posizione oltranziste delle lobby del carbone criticate dai loro stessi membri. A partire da Shell e BHP Billiton. Una vittoria (anche) degli azionisti critici
Le lobby dei combustibili fossili continuano a perorare la causa delle fonti energetiche più inquinanti e dannose per il clima. Nonostante l’Accordo di Parigi. Nonostante i rapporti degli organismi internazionali che continuano a lanciare allarmi sul futuro del Pianeta. E nonostante gli appelli di centinaia di grandi investitori a porre fine alle sovvenzioni di carbone e petrolio.
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Il primo strappo sulle lobby nel 2017 da parte della BHP Billiton
Le scelte di due colossi delle fonti fossili possono aiutare a capire fino a che punto le lobby continuino a spingere il mondo verso il baratro. BHP Billiton e Shell hanno infatti deciso di abbandonare alcune tra le rispettive federazioni e associazioni di categoria. Il motivo? «Sono troppo conservatrici sulla questione climatica». Se lo dicono loro, c’è da crederci.
Il primo strappo è arrivato dalla BHP Billiton, che alla fine del mese di dicembre del 2017 ha annunciato l’uscita dalla World Coal Association (WCA). L’industria australiana spiegò che la distanza sulle politiche energetiche e sul clima era troppa. Esattamente come nel caso dei Minerals Councils of Australia (MCA).
«In qualità di grandi produttori ed utilizzatori di combustibili fossili, riconosciamo la necessità di agire. Al fine di limitare le emissioni di gas ad effetto serra, adattarci agli impatti dei cambiamenti climatici. E accelerare lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni», spiegò l’azienda.
Un’ammissione importante. Che tuttavia – è bene sottolinearlo – non ha implicato un deciso cambiamento di rotta da parte dell’azienda. Quest’ultima, nel corso del 2018, ha continuato infatti ad estrarre decine di milioni di tonnellate di carbone. La presa di posizione, però, fu accolta come una svolta dall’Australian Center for Corporate Responsability. Il direttore Brynn O’Brian spiegò al quotidiano francese Novethic: «È straordinario. La più grande impresa mineraria del mondo segnala la necessità di abbandonare la lobby del carbone».
Shell lega le remunerazioni dei dirigenti agli obiettivi climatici
Ad un anno di distanza, una scelta del tutto simile è stata adottata dal colosso del petrolio Shell. In un rapporto pubblicato nello scorso mese di dicembre, l’azienda anglo-olandese si è impegnata ad apportare modifiche non di poco conto al proprio modello di business. A cominciare dall’introduzione di remunerazioni legate ad obiettivi climatici per i propri dirigenti. E dalla revisione dell’insieme delle proprie adesioni alle lobby del settore.
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Come nel caso della BHP Billiton, le attività della Shell restano in gran parte incompatibili con la salvaguardia del clima. Ma almeno le pressioni esercitate da agenzie delle Nazioni Unite come l’Unfccc, dalle ong e dagli stessi investitori l’hanno convinta a fare i primi passi. La contro-lobby è riuscita – almeno in questi due casi – a rendere insostenibile l’appartenenza a federazioni apertamente climatoscettiche. Ad ottobre, la Shell è stata interpellata sul tema da un gruppo di stakeholders il cui peso finanziario era di 2mila miliardi di dollari. Guidati dai fondi pensione della Chiesa anglicana e dallo svedese AP7. Che hanno puntato il dito anche contro – tra le altre – BP, Total, Arcelor Mittal, BMW e Bayer.
Shell, BHP Billiton… ces entreprises quittent leurs fédérations, trop conservatrices sur le #climat https://t.co/0jGGeRVCu3
— Novethic (@Novethic) December 19, 2018
Gli investitori: «Chiediamo trasparenza sulle attività di lobbying»
«Vi chiediamo – hanno scritto gli investitori – di allineare le vostre pratiche alle nostre richieste. Vi domandiamo inoltre trasparenza sulle vostre posizioni. Anche in merito al modo in cui vi assicurate che esse siano coerenti con le attività di lobbying dirette e indirette».
Il cammino, in ogni caso, resta lungo. Basti pensare che la MCA, alla fine, non è stata abbandonata dalla BHP Billiton. Quest’ultima ha affermato di averla “riposizionata” sul tema della lotta ai cambiamenti climatici. Il gruppo resta inoltre all’interno della United States Chamber of Commerce (USCC), altra potente lobby del settore (e non solo).