La finanza pubblica e quella privata possono salvare il clima. Se vogliono
Le risorse e gli strumenti per cambiare ci sono. La transizione, anche del mondo della finanza, è possibile. A patto di volerlo
Abbiamo le motivazioni e abbiamo i mezzi. Mai come in passato ha senso parlare di un’occasione storica, forse l’ultima a nostra disposizione. Da un lato la comunità internazionale sembra avere preso coscienza della necessità di agire, e agire subito, per contrastare i cambiamenti climatici. È sempre più difficile trovare un governo o un’impresa, anche tra quelle del settore dei fossili, che – a parole – non condividi simili affermazioni. Persino quella considerata la più importante lobby mondiale del carbone, la World Coal Association, ha in bella vista sul suo sito la sezione “sostenibilità” e afferma di «sostenere il movimento globale per la riduzione delle emissioni, per mitigare i potenziali impatti del cambiamento climatico».
Prospettive
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Mai così tanti soldi a disposizione per la transizione ecologica
Tutti d’accordo, quindi. E in maniera ancora più importante, non ci sono solo le motivazioni, ma anche i mezzi. Non ci sono mai stati tanti soldi a disposizione. Pensiamo sia alla finanza pubblica, sia a quella privata. Sul primo fronte, dopo anni di austerità e di “non ci sono i soldi”, è in arrivo in Europa una pioggia di miliardi come non si era mai vista. Parliamo del Next Generation Eu. Un piano da 723 miliardi di euro (ma se consideriamo altri finanziamenti il totale supera gli 800 miliardi) con l’obiettivo di «rendere l’Europa più ecologica, digitale e resiliente».
L’Italia è il Paese che riceverà la quota maggiore di fondi, con oltre 190 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni. Seconda la Spagna, con una cifra intorno agli 80 miliardi. Ambiente e clima dovrebbero rappresentare almeno un terzo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), necessario per dettagliare i programmi e ottenere così i fondi del Next Generation EU. Lo stimolo europeo chiede infatti che nei piani nazionali elaborati da ciascun governo europeo, almeno il 37% sia destinato ad azioni per il clima e la biodiversità.
Passando alla finanza privata, la situazione sembrerebbe addirittura più promettente. Un sistema finanziario che forse non ha mai avuto tanta liquidità a sua disposizione, con gli indici di Borsa che frantumano quotidianamente nuovi record, sembra lanciato sulla strada della sostenibilità ambientale. In occasione della Cop26 di Glasgow i media hanno dato risalto alla Net Zero Banking Alliance, rete di banche che si è impegnata ad azzerare le emissioni legate ai propri prestiti e investimenti entro il 2050. Banche che complessivamente hanno attivi dell’ordine delle decine di migliaia di miliardi di dollari.
Perché la situazione reale è ben diversa dalle dichiarazioni di governi e dirigenti della finanza privata
Una spinta che va di pari passo con quella del legislatore, in particolare in Europa, con il percorso intrapreso ormai da alcuni anni per definire, inquadrare e promuovere la finanza sostenibile.
Tutto bene, quindi? Anche troppo, verrebbe da dire. Se dalle lobby dei combustibili fossili alla grande finanza tutti si professano sostenibili e attenti al clima, viene da domandarsi perché ci troviamo in una tale emergenza dal punto di vista climatico. E soprattutto il perché di appelli tanto allarmanti da parte della comunità scientifica internazionale. Cosa è rimasto, di insostenibile? In realtà, la situazione reale è purtroppo ben diversa dalle dichiarazioni e prese di posizione. Dichiarazioni che sembrano rappresentare svolte epocali si riducono, alla prova dei fatti, a lenti miglioramenti.
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Per quanto riguarda la finanza pubblica e il PNRR, se l’Italia nel proprio piano ha (quasi) raggiunto l’obiettivo del 37% per gli interventi su clima e ambiente, rimangono diverse perplessità sull’utilizzo dei fondi. Una fetta consistente (quasi 14 miliardi) va a misure assolutamente condivisibili ma già in essere, come l’Ecobonus o il Sismabonus. Meno di 2,5 miliardi in sei anni, invece, per la tutela del territorio e la riduzione del rischio idrogeologico, quando l’ISPRA segnala che servirebbero cifre di almeno un ordine di grandezza superiori. Analogamente, se la parola d’ordine per il futuro è l’economia circolare, si scopre che le risorse destinate a questo ambizioso obiettivo sono intorno all’1% del PNRR e in buona parte destinate agli impianti per la gestione del ciclo dei rifiuti.
Siamo ancora lontano dall’idea di svolta e di trasformazione dell’economia
Gli esempi potrebbero essere diversi altri. Soprattutto, stiamo comunque parlando di una minoranza dei fondi, e non degli altri due terzi che non ricadono negli interventi legati al clima, e che potranno quindi andare a settori e attività economiche con forte impatto ambientale. In altre parole, se ci sono sicuramente dei passi in avanti e una maggiore attenzione, siamo molto lontani dall’idea di svolta e dalla radicale trasformazione dell’economia di cui avremmo bisogno.
Ancora meno epocale e ancora più distante dalle dichiarazioni – e dall‘emergenza climatica – le misure messe in campo dalla finanza privata. Solo una piccolissima parte delle banche che si dicono impegnate sul clima ha di fatto preso degli impegni concreti sul taglio immediato delle emissioni. A fronte di un sistema finanziario che si dichiara ogni giorno più sostenibile, i 60 maggiori gruppi bancari hanno concesso – unicamente negli ultimi cinque anni, ovvero dalla firma dell’Accordo di Parigi sul clima a oggi – qualcosa come 3.800 miliardi di dollari al settore delle fossili. Un sostegno persino cresciuto nel 202 rispetto al 2016.
Il business as usual ancora prevale nella finanza
In pratica si dichiara – senza alcun impegno vincolante e senza nessun obbligo normativo – di volere arrivare alle emissioni zero tra una trentina di anni. Mentre nel frattempo si continua tranquillamente a finanziare le fossili. Nel migliore dei casi suona come uno dei buoni propositi di Capodanno, più realisticamente come una mossa di puro marketing da parte di diverse grandi banche ansiose di dare una lavata di verde alla propria immagine.
Discorso purtroppo per molti versi analogo anche per il percorso sulla finanza sostenibile dell’Unione europea. Da un lato è sicuramente benvenuto, prima di tutto per l’obiettivo di fissare dei criteri univoci e condivisi su cosa si possa chiamare finanza “sostenibile” e cosa no. Dall’altro, però, un lavoro già nato con diversi punti deboli e criticità rischia di essere ulteriormente indebolito, se non completamente svuotato di senso, dall’intervento delle lobby che cercano di fare rientrare attività come il nucleare o il gas tre quelle ammissibili.
A guardare le diverse iniziative, insomma, rimane l’idea di una distanza tanto grande quanto inaccettabile tra le dichiarazioni e i contenuti. Annunci di rivoluzioni epocali che si traducono in interventi lontanissimi dalla necessaria svolta da imprimere all’insieme dell’economia. È l’Agenzia Internazionale dell’Energia a confermare come, con la ripresa dell’economia del 2021, cresca il consumo di rinnovabili. Ma cresca anche – e tanto – quello dei combustibili fossili.
Dalla finanza privata passi avanti del tutto insufficienti
Guardando tanto alla finanza pubblica quanto alla finanza privata, dei passi in avanti ci sono, sicuramente. Ma sono del tutto insufficienti rispetto alla portata delle sfide che abbiamo davanti. Potremo anche chiamare questo percorso “sostenibile”, accodandoci all’(ab)uso che fanno del termine i decisori politici o il mondo finanziario. Ma è una sostenibilità che rischia di portarci alla catastrofe. Non possiamo permetterci piccole correzioni e miglioramenti dell’esistente. Non è più possibile mettere in vetrina alcune – poche – attività sostenibili e per il resto continuare sulla stessa rotta del passato.
È l’insieme delle attività economiche che deve cambiare. La finanza etica da un lato promuove progetti con impatto ambientale positivo, e dall’altro esclude quelli a impatto negativo, a partire dal settore delle fossili. Sostenendo che per contenere il riscaldamento globale entro i limiti fissati dalla comunità scientifica, serve una coerenza di tutti gli interventi e una reale transizione ecologica dell’insieme delle attività economiche. E su questo, tanto la finanza pubblica quanto quella privata, malgrado qualche passo avanti e molte – troppe – chiacchiere e dichiarazioni, appaiono ancora decisamente insostenibili.