Abitare in comunità: aiuta tasche, ambiente e relazioni sociali
Persone e famiglie investono su un modello di convivenza alternativo. Alla sua base: economia di comunità, bioedilizia, solidarietà e valori condivisi
Vita urbana? No grazie. Abitare in una città, grande o piccola che sia, non è un destino inevitabile. Anzi, c’è chi ritiene che tale modello di convivenza contrasti con un livello auspicabile di qualità della vita, che è per sua natura incompatibile con l’assedio del traffico veicolare, strade sovraffolate o con l’inquinamento dell’aria. Per non parlare di case costituite da appartamenti pensati come monadi, assemblate insieme a formare stabili e palazzine dove gli inquilini non conoscono il nome o la faccia del vicino.
Non sono pochi gli esempi di gruppi di cittadini italiani che decidono autonomamente di investire su progetti differenti. Luoghi e strutture in cui ad essere privilegiati risultano elementi comunitari, l’approccio economico e ambientale sostenibile, addirittura un’affinità nella visione del mondo. Ipotesi alternative di vita e convivenza realizzate per scelta consapevole da persone e famiglie che si sono costruite pezzo per pezzo un sistema di regole condivise e spazi propri in cui applicarle.
Folli e solidali, per un’idea diversa di abitare
Succede ad esempio tra Bologna e San Lazzaro di Savena, dove si trova un cantiere edile che non nasce da un progetto immobiliare speculativo, bensì dalla volontà di quindici famiglie che hanno scelto di andare ad abitare insieme. Insieme hanno partorito un progetto di cohousing, appunto, che ha l’ambizione di diventare un villaggio sostenibile e solidale. Un’idea un po’ “folle” perché nata non dalla necessità impellente di trovare una nuova casa, ma dalla volontà di recuperare le relazioni. Questo è il Giardino dei folli.
Spiega Roberto Ballarini, presidente della cooperativa che sovrintende il progetto: «Per similitudine con quello che succede per l’economia solidale, che si pone il problema se esista o meno un modello economico alternativo, e con il mondo degli acquisti per quanto riguarda il consumo critico, ci siamo posti la domanda se esista o meno un modo diverso di abitare. Questo cambio di prospettiva si è concretizzato per noi nell’acquisto di un terreno che aveva già dei ruderi, con un po’ di verde dove verrà allestito un piccolo parco. Senza consumare nuovo suolo abbiamo riqualificato la capacità edificatoria preesistente all’interno del lotto».
Co-housing da 3,5 milioni di euro, attento al sociale e all’ambiente
Ma quanto costa questa folle idea? Il progetto ha avuto bisogno di un partner finanziatore (Banca Etica in questo caso), che ha messo a disposizione circa 3,5 milioni di euro, oltre all’accensione di mutui individuali per alcuni soci della cooperativa. Così il Giardino dei folli avanza, da circa 5 anni. Partito da un volantinaggio di pochi, è riuscito ad aggregare decine di famiglie e si è via via definito nei numeri e nei propositi.
Attenzione è stata posta all’ossatura verticale della comunità, perché includesse anziani, adulti, giovani e giovanissimi (già tre i nuovi nati dal 2014) pronti a uno scambio di competenze e servizi. Ma non solo. La struttura del complesso edilizio prevede spazi comuni pensati per rafforzare le relazioni, e comprende un salone polifunzionale con un miniappartamento destinato a situazioni di disagio temporaneo segnalate dall’Asl locale; una lavanderia comune; un magazzino per il gruppo di acquisto solidale; una piccola officina.
Il tutto in una struttura dove vengono applicati criteri di bioedilizia e gestione delle risorse. Da qui la scelta di realizzare edifici passivi, sistemi di ventilazione meccanica controllata, l’impianto fotovoltaico, il recupero delle acque grigie per alimentare gli scarichi, il recupero delle acque piovane per l’irrigazione del giardino, gli impianti di fitodepurazione e compostaggio dei rifiuti umidi. I lavori sono in corso, e la fine è attesa entro il 2019. Anche grazie all’autocostruzione svolta dai soci.
Dalla teoria alla pratica: un ecovillaggio nel piacentino
I folli, insomma, potrebbero alla fin fine averci visto giusto. Ma non sono stati i primi né gli unici a concepire un villaggio a loro immagine e somiglianza. Perché quasi 30 anni fa (era il 1992) iniziava da una comunità intenzionale – cioè di persone che decidono di vivere e lavorare insieme guidati da alcuni valori etici – l’esperienza dell’ecovillaggio Lumen di San Pietro in Cerro (Pc). Un modello articolato, dal momento che gode dell’ombrello protettivo dell’omonima associazione di promozione sociale per la medicina naturale con circa 700 iscritti; e include una cooperativa di lavoro (Vis Naturae) e una cooperativa di co-abitazione (Lumen Recrea).
Alla base, però, c’è sempre un cohousing per 30 adulti e altrettanti bambini e ragazzi che condividono quotidianamente gli spazi e gli alloggi (in un regime di “proprietà indivisa”), nonché principi di ecologia, medicina naturale, solidarietà, e persino un’idea di famiglia. Il tutto nella cornice di alcune costruzioni rurali ristrutturate (in gran parte in autonomia) di un vecchio cascinale del 1600.
1000 euro al mese di risparmi e un sistema di imprese
Una comunità complessa. E interessante anche sul piano economico-finanziario. Poiché riesce ad abbattere in misura notevole i propri costi quotidiani, grazie – per esempio – alla mensa comune, salutista e vegana, aperta a soci e abitanti, fino a una sorta di car-sharing organizzato in proprio. Il che produce una serie di risparmi ecologici ed economici che – spiega Federico Palla – «ci hanno fatto fare una stima per cui una famiglia in Lumen risparmia circa mille euro al mese rispetto a una famiglia media italiana del Nord Est. Tramite un fondo comune paghiamo le spese comunitarie (il bollo, le assicurazioni…), mentre ognuno, mese per mese, con una app, vi riversa la sua quota calcolata sulla base di quanto ha utilizzato l’autovettura condivisa».
L’ecovillaggio sfrutta quindi la modernità tecnologica e necessita di auto-sostenersi economicamente. Perciò non è solo un luogo di convivenza, ma anche di lavoro. Lumen rappresenta infatti un sistema di imprese e professionalità legate alla formazione. Ospita una scuola di naturopatia – tra le più importanti d’Italia e di rilievo europeo -, una di massaggi e di cucina naturale, e vari corsi e seminari. Gran parte dei docenti impegnati in queste attività abitano nella comunità, e vi sperimentano gli insegnamenti che impartiranno agli studenti.