Dietro i piccoli comuni un tesoro da 93 miliardi l’anno. Ma servono investimenti

Infrastrutture e banda larga, lavoro e servizi. Lo Stato deve investire per fermare lo spopolamento delle aree interne. Una risorsa preziosa contro il dissesto idrogeologico

Montepulciano (Siena), uno degli oltre 5.000 piccoli comuni italiani (Foto di Hans Bischoff da Pixabay)

Due milioni di case inutilizzate in 5.627 borghi. Lontano dalle grandi città, con pochi servizi. L’Italia dei piccoli comuni, due terzi del totale nazionale, potrebbe fornire la risposta al bisogno dell’abitare e di stili di vita più sostenibili.

«Ma occorre fermare lo spopolamento. E, per fare questo, bisogna creare lavoro, potenziare le infrastrutture che mancano, a partire dalla banda larga, oltre trasporti, scuole e ospedali».

Massimo Castelli, coordinatore nazionale dei Piccoli comuni di ANCI e sindaco di Cerignale, in Emilia Romagna, è risoluto. «Abbiamo dovuto lottare anche per il mantenimento di mille uffici postali. Senza la nostra trattativa con Poste Italiane sarebbero stati chiusi, con gravi disagi in paesi già isolati».

Urge un intervento contro l’abbandono delle case

A proposito di disagio abitativo nelle grandi città, i dati forniti dal responsabile di Anci fanno riflettere. «Mentre si costruiscono casermoni nelle periferie urbane, negli ultimi 40 anni sono stati ben 2000 i piccoli centri che hanno perso l’80% popolazione, e tra questi 120 tra dal 60 all’80%». Occorrono interventi sulle case in abbandono, precisa il sindaco Castelli. «Spesso non sono state fatte le pratiche di successione, i proprietari sono emigrati. Lo Stato deve intervenire per far sì che diventino un bene collettivo, così come il nostro paesaggio. Non investire in questi territori è, invece, un doppio danno per la collettività».

«Occorre un provvedimento nazionale contro l’abbandono delle case e della terra, per prevenire crolli e dissesto idrogeologico», conclude il coordinatore nazionale dei Piccoli comuni di ANCI.

ANCI: i piccoli comuni valgono il 5% del Pil

Anci, da tempo, ha stilato una propria Agenda Contro-esodo che mette al centro i comuni interni, periferici, rurali, montani, di minori dimensioni demografiche, che coprono però, per estensione, il 54,1% della superficie complessiva della penisola. Aree che presentano vantaggi per la qualità della vita dei cittadini, che assicurano, attraverso la cura dei residenti, la salvaguardia della natura nonché la tutela della terra e la conservazione del paesaggio.

L’insieme di queste esternalità positive per l’ambiente, i cosiddetti «servizi ecosistemici» valgono, almeno 93 miliardi l’anno, quasi il 5% del PIL. «Fare emergere questo valore e trasformarlo in pagamenti è una sfida decisiva per una prospettiva di sostenibilità, in tempi di cambiamento climatico e dissesto idrogeologico», sottolinea il sindaco.

Estendere la strategia delle aree interne

Ma come attuare questo processo? «Bisogna estendere, intanto, la strategia nazionale per le aree interne», sottolinea il rappresentante di ANCI. Il principale intervento che lo Stato italiano, unico in Europa, dedica a circa mille comuni “non urbani” che registrano un forte calo demografico. Paesi che presentano, a causa della loro perifericità, severe difficoltà di accesso ai servizi fondamentali per la cittadinanza: salute, istruzione, mobilità. «Proponiamo che l’intervento sperimentale, venga esteso a tutti e 4mila comuni delle aree interne, con la necessaria copertura finanziaria». Poi creare incentivi per i giovani ritornanti come ad esempio, è successo in Emilia Romagna e in Molise.

Spopolamento in diminuzione nei borghi storici

Anche se gli ultimi dati rilevati dal rapporto Piccola Grande Italia di Legambiente, rilevano, tra il 2014 e il 2017, una lieve controtendenza. Il saldo migratorio nei borghi storici, quelli ad attrattiva turistica, è più alto che nel resto dell’Italia. E, come si legge nel rapporto, basterebbe recuperare anche solo il 15% delle case disponibili, attualmente in disuso, per accogliere 300mila abitanti. Invertendo, così, il calo demografico. Anche il ritorno all’agricoltura di eccellenza italiana, secondo gli esperti, utilizzando un quarto delle superfici coltivate abbandonate negli ultimi 20 anni, porterebbe a 125mila nuove aziende agricole di 12 ettari ciascuna.

Emergenza banda larga

«Ma per fare questo occorre collocare risorse nazionali da subito, ad esempio, sulla banda larga, in ritardo mostruoso rispetto al resto dell’Italia, e sulla mobilità. Questo si somma a paesi che sono nelle cosiddette aree bianche che sono quelle considerate a fallimento di mercato per i gestori delle comunicazioni. Zone scoperte dalle linee telefoniche, dati, fibra, pochi megabyte. Ci sono ancora tante zone in Italia tagliate fuori dal mondo. E questo si vede nelle aree terremotate».

Fonte: La realtà aumentata dei Piccoli Comuni, Legambiente 2019

Una flat tax territoriale antispopolamento

Secondo il responsabile ANCI, uno strumento fondamentale per la lotta allo spopolamento, potrebbe essere una fiscalità differenziata. «Serve una vera e propria flat tax territoriale per le aree marginali.  Ripopolare le zone ad alto valore ecosistemico, cioè dotate di capitale naturale, sarebbe poi un vantaggio. Sia per il clima che per prevenire il dissesto idrogeologico. «Dobbiamo renderci conto che alle spalle delle grandi città abbiamo un nuovo Ovest, ricco di risorse naturali e fonti rinnovabili.

A che punto è la legge sui piccoli comuni 

Molte delle richieste di Anci sono già contenute nella legge n. 158/2017, approvata all’unanimità la scorsa legislatura, proprio per i comuni fino a 5.000 abitanti, primo firmatario Ermete Realacci. Testo che prevede il recupero dei centri storici o a rischio spopolamento da riconvertire in alberghi diffusi, la spinta al collegamento alla banda ultralarga, la tutela dei prodotti a chilometri zero. Così come l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico e la messa in sicurezza di strade e scuole. Era stata definita anche una dotazione complessiva di 100 milioni in tre anni, soldi che però i piccoli borghi non hanno mai visto o che stanno arrivando a singhiozzo.  Mancano, infatti, i decreti attuativi, che da soli non bastano, ribadisce il rappresentante di ANCI.

«È un testo ideale, ma che, essendo trasversale a più ministeri, diventa farraginoso da attuare. Ora più che mai abbiamo bisogno di politiche concrete che favoriscano lo spostamento verso quei comuni che hanno condizioni ambientali e sociali migliori delle periferie urbane».

Intanto lo scorso 31 ottobre è stato reso noto dal ministero dei Trasporti, il finanziamento del decreto Interministeriale Mit-Mef, per l’attuazione del programma di interventi per piccoli Comuni fino a 3.500 abitanti, avviato con lo Sblocca cantieri per 7,5 milioni di euro,  per la manutenzione straordinaria di strade, per illuminazione pubblica, e l’abbattimento di barriere architettoniche in edifici pubblici.

30 anni per ripopolare l’Italia interna

«Occorrono almeno 30 anni per tornare ad una situazione di equilibrio- conclude il sindaco di Cerignale. Non basta rioccupare le case, costruire o ristrutturare. «Sono fondamentali gli incentivi per i giovani e per le imprese. Un buon esempio viene dalla Regione Emilia Romagna con il taglio dell’IRAP alle aziende che investono in montagna. E per giovani coppie e famiglie che vivono in montagna o che decidono di farlo, sono previsti contributi a fondo perduto. Destinati all’acquisto o alla ristrutturazione della casa fino a 30mila euro».  Bisogna però ricostruire le comunità, esattamente come è successo nelle zone terremotate.  Un tema poco dibattuto, ma che torna nei fatti di cronaca. «Non si può parlare dell’abbandono dei territori solo quando una frana porta via il pilone di un’autostrada».

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