Clima, per l’adattamento investiamo un decimo del necessario

Stiamo facendo pochissimo per l'adattamento alla crisi climatica, cioè per proteggere territori e persone vulnerabili. Lo conferma l'UNEP

Le misure di adattamento proteggono il territorio e la popolazione dall'impatto della crisi climatica © distelAPPArath/Pixabay

La crisi climatica accelera, i finanziamenti per l’adattamento rallentano. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), questo cortocircuito genera un deficit che si aggira tra i 194 e i 366 miliardi di dollari l’anno. Investiamo globalmente nell’adattamento alla crisi climatica tra le 10 e le 18 volte meno di quanto sarebbe necessario e urgente. Lo sottolinea anche il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres: «Siamo in un’emergenza di adattamento. Dobbiamo agire di conseguenza. E prendere misure per colmare il divario, ora».

La crisi climatica accelera, i finanziamenti per l’adattamento rallentano

Mentre l’approccio della mitigazione prevede di tagliare le emissioni di gas serra per rallentare il riscaldamento globale, l’adattamento parte dal presupposto per cui alcune manifestazioni della crisi climatica siano già inevitabili. E prevede quindi di intervenire per proteggere il territorio e la popolazione, per esempio attraverso barriere fisiche contro inondazioni e mareggiate, sistemi di allerta preventiva in caso di uragani o altre misure simili.

Il nuovo “Adaptation Gap Report 2023“, presentato in vista della Cop28 di Dubai, si focalizza proprio su questo pilastro. E rileva che le esigenze finanziarie per l’adattamento nei Paesi in via di sviluppo stanno crescendo e i flussi di finanza pubblica internazionale non sono in grado di rispondere. Anzi, stanno rallentando. Secondo gli esperti ONU, serve almeno il 50% in più di risorse rispetto a quanto stimato nei precedenti studi.

Come ha spiegato la direttrice esecutiva dell’UNEP Inger Andersen, «nel 2023 i cambiamenti climatici sono diventati ancora più dirompenti e mortali. I record di temperatura si sono moltiplicati, mentre tempeste, inondazioni, ondate di caldo e incendi hanno causato devastazioni. Questi impatti crescenti ci dicono che il mondo deve ridurre urgentemente le emissioni di gas serra e aumentare gli sforzi di adattamento per proteggere le popolazioni vulnerabili. Nessuna delle due cose sta accadendo».

Secondo le stime, i piani di adattamento dei Paesi più esposti richiedono 215 miliardi di dollari all’anno per il prossimo decennio. Cifre che, a partire dal 2050, aumenteranno in modo significativo: serviranno circa 387 miliardi di dollari all’anno. I finanziamenti pubblici multilaterali o bilaterali hanno subito un taglio del 15%, attestandosi nel 2021 su 21 miliardi di dollari. Fondi insufficienti: già la Cop26 di Glasgow aveva sancito l’impegno di un investimento di 40 miliardi di dollari l’anno entro il 2025. Cifre che non sono state mai raggiunte. E che, anche se lo fossero, non basterebbero più. Questo, secondo l’UNEP, è «un precedente preoccupante».

La priorità è proteggere i Paesi più vulnerabili

Il deficit finanziario è quantificato tra i 194 e i 366 miliardi di dollari ogni anno. Le conseguenze potrebbero essere gravi soprattutto sui Paesi a basso reddito, per la cui resilienza questi fondi sono cruciali.

Negli ultimi vent’anni le 55 economie più vulnerabili hanno subìto perdite e danni stimati in 500 miliardi di dollari. Le previsioni confermano che queste cifre saliranno, soprattutto se non verranno attuate politiche forti di mitigazione e adattamento alla crisi climatica.

Piani d’azione che, sottolinea l’UNEP, sono investimenti con ritorni importanti. Per ogni miliardo investito in politiche di adattamento contro le inondazioni costiere, scendono di 14 miliardi i danni economici generati da queste ultime. Se investissimo ogni anno 16 miliardi di dollari per rendere resiliente l’agricoltura, salveremmo 78 milioni di persone dalla fame.

L’urgenza di agire impone di elaborare nuove soluzioni e rivedere al rialzo gli obiettivi già fissati. Non basta più, come stabilito nel 2019, raddoppiare i flussi finanziari internazionali rivolti all’adattamento dei Paesi in via di sviluppo entro il 2025. Non sarà sufficiente nemmeno ipotizzare un nuovo obiettivo collettivo verso il 2030.

Le soluzioni secondo l’Unep

Per rispondere all’impasse serve sistematizzare la diffusione di piani di adattamento alla crisi climatica. Anche se cinque Paesi su sei dispongono già di strumenti nazionali volti allo scopo, il percorso verso la copertura globale sta rallentando. Negli ultimi dieci anni le azioni finanziate da fondi internazionali si sono arrestate.

Il nuovo fondo per le perdite e i danni sarà uno strumento importante per reperire risorse, ma l’UNEP suggerisce sette vie per l’aumento dei finanziamenti: spesa interna e finanziamenti internazionali e privati innanzitutto, ma anche rimesse; aumento del sostegno alle piccole e medie imprese; attuazione dell’articolo 2.1(c) dell’Accordo di Parigi, che prevede di spostare i flussi finanziari su progetti low-carbon; una riforma del sistema finanziario globale come auspicato dalla Bridgetown Initiative.

L’appello di Andersen è rivolto ai decisori politici, cui è richiesto di assumere pubblicamente impegni per tutelare in maniera efficace i più fragili. «Anche se la comunità internazionale dovesse smettere di emettere tutti i gas serra oggi, la perturbazione del clima impiegherebbe decenni per risolversi. Esorto i policymaker a prestare attenzione al Rapporto, a incrementare i finanziamenti e a rendere la Cop28 il momento in cui il mondo si impegna pienamente a tutelare i Paesi a basso reddito e i gruppi svantaggiati dagli impatti climatici dannosi».