Agricoltura verticale e rigenerazione urbana: l’economia circolare risparmia il suolo
Le coltivazioni idroponiche stanno crescendo e in molti casi si integrano in soluzioni di recupero urbanistico. Per avere prodotti bio a km0 senza consumare suolo
I gusti dei consumatori hanno subito un cambiamento radicale nell’ultimo decennio. La crescente domanda di alimenti freschi, cibi biologici e consegne a domicilio ha portato una crescita significativa nei settori della produzione e della distribuzione alimentare urbana. La regione di Chicago ha visto una crescita maggiore dell’industria alimentare rispetto a qualsiasi altro mercato. È diventata così una piattaforma nazionale per la crescita di questo settore. Pullman Crossings è una ex area industriale di 25 ettari su cui Whole Foods, una delle più grandi catene di prodotti biologici. L’ha acquisita Amazon nel 2017: oggi realizza attività di produzione, trasformazione e distribuzione di cibo fresco. Gotham Greens, pioniere dell’agricoltura verticale newyorkese, ha realizzato sul tetto del magazzino principale la serra più grande e tecnologicamente avanzata costruita finora: misura 7mila metri quadri.
Idroponica: lattuga sull’ex acciaieria
Il prossimo investimento di Gotham Greens sarà a Baltimora: una nuova serra da 9mila mq presso la ex acciaieria. Previsti 60 nuovi posti di lavoro per coltivare rucola, lattuga e basilico utilizzando il 100% di energia rinnovabile e acqua di irrigazione riciclata. Gotham Greens ha raccolto 45 milioni di dollari in private equity per accelerare l’espansione del modello e innovare la tecnologia, migliorare la qualità dei prodotti locali e la lotta biologica ai parassiti.
Tuttavia non mancano gli impatti molto elevati anche di questo genere di soluzioni. Soprattutto per quanto riguarda le emissioni di CO2 questi impianti risultano molto impattanti, almeno nella fase realizzativa. Se è vero che ogni input meccanico (mezzi, trattori) e chimico viene minimizzato, è anche vero che costruire impianti idroponici implica una spesa energetica molto elevata (serre, bancali, canaline, coperture di plastica o materiali plastici) così come le loro gestione (energia elettrica, riscaldamento). Ecco perché la nuova sfida è trovare soluzioni di orticoltura fuori suolo più sostenibili.
Soluzioni possibili
Una prima soluzione è quella di abbinare l’impianto di coltivazione idroponica alla produzione di energie rinnovabili, per esempio solare, in grado di alimentarlo nella sua normale gestione. O ancora sfruttare il calore generato dalle tubature già esistenti in contesti abitativi o produttivi. Si valorizza così la dispersione già presente negli edifici e riducendo l’ulteriore riscaldamento dell’impianto.
L’agricoltura urbana indoor è uno dei settori più interessanti e promettenti nel mondo del food e agri-tech. Le serre sono spesso alimentate con energia elettrica rinnovabile al 100% e producono fino a 30 volte più colture per ettaro rispetto all’agricoltura convenzionale, utilizzando il 90% in meno di acqua e eliminando l’erosione di suolo agricolo e l’uso di sostanze chimiche dannose. I metodi di coltura riducono il rischio di patogeni di origine alimentare. Al contempo il modello di distribuzione locale riduce l’impronta ambientale e gli sprechi alimentari legati al trasporto.
I primi 90 attori del mercato del vertical farming globale
Alcuni degli attori chiave della crescita della agricoltura idroponica sono AeroFarms, Gotham Greens, Vertical Harvest, Infinite Harvest, Lufa Farms, Beijing IEDA Protected Horticulture, Garden Fresh Farms, Bright Farms, in forte espansione in Europa gli impianti di acquaponica ECF Farmsystem.
Le sfide della trasformazione urbana
Le città stesse si trasformano in maniera profonda, assumendo sempre più le sembianze di grandi conglomerati multicentrici, delle dimensioni più di una provincia che di un comune come siamo abituati a pensarlo in Europa. Questa trasformazione pone delle sfide enormi per quanto riguarda l’approvvigionamento delle risorse e per la vivibilità del contesto urbano. Il rapporto tra città e contado descritto da tanti autori del passato e così tipico del contesto italiano, è ormai superato da megalopoli che esercitano la propria influenza sui sistemi produttivi globali e non più locali.
Le città non sono solo il primo centro di assorbimento di energia e beni di consumo ma anche, ovviamente, di cibo. Questo spesso percorre enormi distanze per giungere ad esse. In questo contesto si sono sviluppate diverse teorie sulla possibilità di attuare agricoltura anche indipendentemente dal suo elemento di base: il suolo. Le colture fuori suolo utilizzano substrati differenti per coltivare le piante e soluzioni circolanti che forniscono sia acqua che nutrienti regolati da sistemi sempre più automatizzati e tecnologici.
Grazie anche alla diminuzione dei costi tecnologici, soprattutto per l’illuminaziona a LED, le tecnologie HVAC (riscaldamento, ventilazione e aria condizionata) e dell’aumento della domanda locale di cibo, stiamo assistendo alla realizzazione di sistemi di coltivazione verticale completamente chiusi.
Tolte le grandi estensioni di serre idroponiche olandesi, tra i primi a sviluppare questa tecnica di coltivazione, la maggior parte degli impianti sono posizionati in aree urbane o suburbane.
Verdure, germogli, erbe, fiori, pomodori
Le cinque colture principali sono: verdure a foglia verde, germogli, erbe, fiori e pomodori. Per poter rendere sostenibile economicamente l’investimento di un impianto occorre coltivare prodotti ad alto reddito, con cicli di crescita rapidi, che siano fisicamente corte da poterle stratificare e che siano altamente deperibili in modo da valorizzarne la distribuzione locale.
In Italia sono ormai parecchi i casi di aziende agricole che utilizzano l’agricoltura idroponica. Tra loro, si segnala Sfera Agricola una startup innovativa di Grosseto capace di integrare la lotta biologica con il riutilizzo dell’acqua.
Acquacoltura + idroponica = acquaponica
Un’ulteriore evoluzione nel concetto di produzione primaria sostenibile in contesti urbani è quella che abbina alla coltivazione degli ortaggi anche la produzione di proteine. Si tratta dell’acquaponica. La tecnica, come già si intuisce dal nome, unisce acquacoltura e idroponica, ovvero la produzione di pesce con quella orticola. Il principio è semplice: l’acquacoltura consuma grandi quantità di acqua che viene espulsa perché satura di composti azotati derivanti dalle deiezioni dei pesci che la rendono tossica. L’orticoltura idroponica consuma invece grandi quantità di fertilizzanti che vengono miscelati nella soluzione circolante.
Integrare questi due cicli significa sfruttare le acque ricche di azoto. Obiettivo: sostenere una produzione orticola e ottenere acqua pulita dopo la filtrazione operata dalle radici delle piante che ne preleva l’azoto.
Tra i primi ad occuparsi in modo innovativo della collocazione urbana di questi impianti c’è ECF Farmsystems di Berlino. Anche in Italia si stanno sperimentando progetti di acquaponica urbana: è il caso di The Circle, giovane startup romana che ha realizzato la prima serra a Monte Porzio Catone.
Sebbene gli impianti di coltivazione acquaponica, quelli che integrano orticoltura con piscicoltura, siano ancora una frazione, la loro redditività è doppia dell’idroponica per metro quadro. Entrambi i sistemi diventano redditizi in media dopo 5 anni dall’avvio.