Arrivederci Champions League, ciao. Ecco la Superlega
Si chiamerà nello stesso modo, ma la Champions League si appresta a cambiare pelle. Rilancio o canto del cigno?
Esce di scena la Champions, entra la Superlega. Quella cominciata in settimana, e che si concluderà a Wembley il primo giugno, è l’ultima edizione della Coppa dei Campioni o Champions League per come l’abbiamo conosciuta. Dal prossimo anno comincerà la prima vera Superlega europea. Non il progetto privato lanciato una notte di aprile del 2021, e abortito nel giro di pochi giorni, da un manipolo di club ribelli. Ma un vero e proprio torneo sul modello degli sport americani. Organizzato con tutti i crismi dell’ufficialità dalla Uefa (la federazione calcistica europea) e dalla Eca (l’associazione dei club europei, tornata molto vicina alla Uefa di Ceferin).
Il nuovo torneo è il frutto di una lunga intesa, suggellata dal protocollo appena firmato tra le due associazioni. Si chiamerà ancora Champions League, la mitica musichetta prima delle partite sarà sempre la stessa, ma sarà a tutti gli effetti una Superlega. Non tanto per il cambio di formato, con le squadre che passano da 32 a 36, non più divise in gruppi ma in un unico girone, il conseguente aumento di partite e il taglio delle retrocessioni (ecco il modello americano). Ma per le conseguenze economiche che avrà, o spera di avere, con i ricavi destinati a salire del 42% e distribuiti in maniera più orizzontale.
La svolta è diventata necessaria per la perdita di appeal dei campionati nazionali, frutto della sperequazione economica delle forze in campo. Il Bayern che vince undici campionati consecutivi, la Juve nove, il Psg nove su undici, il City cinque su sei e Real e Barça diciotto degli ultimi venti. E il monopolio cui tende per sua natura il capitale, come sempre, è devastante. Distrugge il sistema. Se è vero che i ricavi dei cinque grandi campionati sono passati nel giro di dieci anni da nove a diciassette miliardi (fonte Deloitte) sono però aumentati i costi di gestione, del calciomercato e degli stipendi (che arrivano a incidere per il 70-80% delle spese totali). Per non parlare dei debiti, secondo la Uefa raddoppiati da cinque a dieci miliardi negli ultimi due anni.
Come racconta una fonte al Financial Times, «la bolla sta per scoppiare». E i campionati nazionali non sono sufficienti a fermare l’emorragia. Ecco allora che gli stessi club, oramai posseduti per la maggior parte da investimenti privati – fondi di venture capital o di private equity – che per statuto devono generare profitti, si trovano costretti a correre ai ripari. E nasce la Superlega, il campionato dei buoni, dei migliori. Ma può un torneo sempre più elitario diventare allo stesso tempo più sostenibile? Forse no. Più che un rilancio sembra il disperato tentativo, alle prime luci dell’alba, di un giocatore d’azzardo in perdita che butta sul tavolo verde le ultime fiches che ha ancora in mano.