La lotta delle aziende contro la deforestazione è ancora in alto mare

Un report di CDP fotografa la capacità delle aziende di contrastare la deforestazione nella supply chain. Pochissime riescono a farlo

Andrea Di Turi
Le attività delle aziende possono avere un impatto sulla deforestazione © Marcio Isensee e Sa/iStockphoto
Andrea Di Turi
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C’è chi dice che con numeri e statistiche si può dire tutto e il contrario di tutto, basta presentarli nella prospettiva desiderata. Probabilmente è questo il caso di una recente indagine di CDP, organizzazione non profit che in quasi venticinque anni di attività si è guadagnata sul campo il titolo di “gold standard” della rendicontazione ambientale. Più precisamente, come dice il suo nome originario mantenuto fino al 2013 (Carbon Disclosure Project), riguardo alla disclosure di dati e informazioni con cui in particolare le aziende raccontano come misurano e gestiscono rischi, opportunità, impatti legati a crisi climatica, deforestazione, sicurezza idrica. A beneficio prima di tutto degli investitori.

Perché le aziende non possono ignorare la deforestazione

CDP, che due anni fa aveva espresso critiche severe quando il Parlamento europeo votò l’introduzione di gas fossile e nucleare nella tassonomia delle attività in cui investire in modo sostenibile, poche settimane fa ha pubblicato lo studio “Time for Transparency: Deforestation- and conversion-free supply chains”, in collaborazione con Accountability Framework Initiative. Dove si analizza se e quanto le aziende stanno “ripulendo” le loro catene di fornitura da pratiche di deforestazione e conversione degli ecosistemi.

La deforestazione, del resto, è da molti anni sul banco degli imputati per i suoi impatti ambientali devastanti e perché, dopo l’utilizzo dei combustibili fossili, rappresenta la seconda causa della crisi climatica. O meglio dell'”ebollizione globale”, come la chiama il segretario generale dell’Onu António Guterres. Per centrare obiettivi climatici e legati alla natura, quindi, occorre fare ogni sforzo per consegnare la deforestazione alla storia il prima possibile. In questo senso vanno anche previsioni normative come il Regolamento Ue 2023/1115 che vieta l’importazione di prodotti e materie prime legati appunto alla deforestazione.

Aziende e deforestazione: bicchiere mezzo pieno?

64 aziende hanno eliminato la deforestazione da almeno una catena di fornitura, dice il rapporto. Specie se si pensa che fino a non molti anni fa il tema era quasi completamente fuori dai radar, pare in effetti una buona notizia. Che, tra l’altro, si può mettere in fila ad altre.

Innanzitutto, se qualcuno riesce a farlo significa che non è una missione impossibile. Poi, l’anno scorso ha segnato un record quanto al numero di aziende (1.152) che hanno offerto informazioni in materia utilizzando il questionario sulle foreste di CDP. Ancora, 881 società hanno reso disponibili queste informazioni su almeno una filiera di materie prime (ad esempio legno, olio di palma, soia, cacao, caffè). E circa la metà di queste (445) hanno mostrato di aver conseguito progressi verso gli obiettivi di supply chain deforestation-free e conversion-free. Infine, sempre su queste 445, aziende il 69% ha uno specifico commitment sulla deforestazione e l’82% ha avviato processi di engagement coi fornitori.

Le informazioni ci sono, ma spesso incomplete e di scarsa qualità

Appena si scava un po’ nei dati o li si guarda appunto da un’altra prospettiva, però, si nota che il bicchiere sembra in realtà quasi vuoto. Sono solo 186, infatti, le aziende che hanno fornito informazioni complete e di qualità elevata sui rischi per il loro business legati alla deforestazione e sulla roadmap che intendono seguire per arrivare a essere deforestation-free. In termini percentuali, sono solo il 21% delle 881 “abbastanza brave” (diciamo) di cui sopra. Percentuale che scende al 16% se si considerano tutte le 1.152 che hanno utilizzato il questionario. Ancora più impietoso il rapporto che risulta se si mettono a confronto le 64 “bravissime” prima richiamate col totale delle 1.152: siamo intorno al 5,5%. Questa, dunque, è la quota di aziende che si possono ritenere realmente allineate agli sfidanti obiettivi di cui stiamo parlando.

Ma c’è dell’altro. Perché, se è vero che il report afferma che molte aziende stanno lavorando sulla disclosure sulla deforestazione, dice anche che altre non sono in grado di farlo e altre ancora non sono disponibili a farlo. Con la crisi climatica che galoppa, si può forse passare sopra al fatto che non siano ancora attrezzate, ma la mancanza di volontà è inaccettabile. Sono ancora troppo poche le imprese che si sono dotate di sistemi di monitoraggio, controllo e tracciabilità efficaci riguardo alle proprie attività e alle relazioni coi fornitori. Il report sottolinea anche come facciano eccessivo affidamento su modelli di certificazione che non danno garanzie sufficienti, perché basati su evidenze documentali e non su riscontri fisici. La mancanza di coerenza e di completezza delle informazioni fornite, infine, mina l’affidabilità e – prima ancora – la possibilità di interpretarle correttamente.

Il tempo dei cambiamenti radicali e urgenti

Il punto, allora, sembra in realtà soprattutto uno. Anche sulla deforestazione, pensando al suo impatto sulla crisi climatica, abbiamo perso un’enormità di tempo. Le aziende che riescono (o vogliono) affrontarla in modo corretto sono troppo poche. Solo che il tempo dei miglioramenti incrementali è finito da un pezzo. Servono cambi di passo radicali e urgenti. Difficile, complicato, disruptive? Certo. Ma è per colpa nostra, non a causa del destino cinico e baro, che siamo in questa situazione. Per provare a uscirne, occorre almeno riconoscerlo.