Le banche e i 307 miliardi di dollari che alimentano la deforestazione

Dall'Accordo di Parigi a oggi, le banche hanno concesso enormi finanziamenti ai settori più responsabili dei casi di deforestazione nel mondo

Dall'Accordo di Parigi a oggi, le banche hanno investito più di 300 miliardi di dollari in attività legate alla deforestazione © Roya Ann Miller/Unsplash

Il 21 marzo è stata la Giornata Internazionale delle Foreste, un’occasione per celebrare la bellezza a l’importanza delle aree boschive in tutto il mondo. Il tema scelto dalle Nazioni Unite quest’anno è stato “Foreste e innovazione: nuove soluzioni per un mondo migliore”. I progressi tecnologici sono considerati infatti “essenziali”, sia nella gestione delle foreste che nella produzione delle materie prime. Ma di per sé la tecnologia non ha il potere di impedirne la distruzione. Disponiamo già di dati sufficienti per sapere chi sta distruggendo le foreste e dei mezzi necessari per fermarli. Le agroindustrie e le loro attività di disboscamento (per gli allevamenti, soprattutto, ma anche per il legname) sono tra le maggiori responsabili. Con la collaborazione dei governi e di numerosi grandi gruppi bancari

Questi ultimi, in particolare, sono al centro di un dossier pubblicato dalla Forest and Finance Coalition: si intitola “Banking on Biodiversity Collapse” (BOBC). E spiega che, da gennaio 2016 a settembre 2023, le banche hanno concesso crediti per almeno 307 miliardi di dollari (circa 256 miliardi di euro) ai settori economici che presentano un forte impatto sugli ecosistemi tropicali. È il caso, ad esempio, delle aziende che si occupano di produrre carne bovina, olio di palma, pasta di legno e carta, gomma, soia e legname.

Fermare la deforestazione, anche le banche devono fare la loro parte

Nonostante i gravi danni sociali e ambientali, grandi quantità di denaro continuano dunque ad affluire alle aziende che con i loro business nuocciono alle aree forestali. Tutti ne sono consapevoli, eppure si ignorano le misure necessarie per fermare il fenomeno. Nel dicembre 2022, 196 governi hanno concordato lo storico Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), che obbliga tutti i Paesi firmatari a garantire che tutti i flussi finanziari pubblici e privati siano in linea con i quattro obiettivi a lungo termine per il 2050 per preservare e far crescere le foreste. E ben 23 obiettivi volti ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. 

Anche le banche devono fare la loro parte. Eppure, dopo più di un anno dall’adozione del GBF, non si sono ancora visti passi decisivi da parte dei principali istituti di credito. Al contrario, la maggior parte delle banche analizzate nel rapporto BOBC non ha previsto politiche sul tema. E laddove esistono sono spesso inadeguate. Tra i nomi fatti ci sono quelli di Banco do Brasil, Rabobank, Bnp Paribas, Santander, JPMorgan Chase, Mitshuo.

Invece di abbattere alberi, le banche devono tagliare i legami con le industrie dannose

La produzione industriale di carne è uno degli esempi più perversi del nostro sistema alimentare. Essa provoca non solo danni alle aree boschive, ma anche alla biodiversità, alle comunità locali. E genera più di 8.500 miliardi di dollari in costi sanitari e climatici esternalizzati all’anno.

Il gigante brasiliano del confezionamento della carne JBS è finito sulle prime pagine per gli scandali legati a casi di corruzione, per l’uso di aree deforestate illegalmente, per il massiccio impatto sul clima e per essere stato accusato di violazioni dei diritti umani. Eppure, continua a rappresentare un investimento interessante per molte banche, tra cui in particolare Barclays.

La banca inglese punta teoricamente all’obiettivo “zero emissioni nette entro il 2050”. Ma il suo sostegno all’industria della carne mette seriamente in dubbio la credibilità di tali impegni. Il rapporto della Forest and Finance Coalition è chiaro in proposito: «Le banche devono riconoscere che non esiste un settore dell’allevamento industriale sostenibile, nonostante le ambizioni politiche. Il disinvestimento dal settore, o almeno la fine immediata di tutti i finanziamenti per la sua ulteriore espansione, è l’unico percorso credibile per gli istituti finanziari impegnati nel fermare la deforestazione e limitare gli impatti climatici».

Le accuse all’industria della biomassa

Un’altra minaccia crescente per le foreste, finanziata dalle banche, è l’industria della biomassa, spesso etichettata erroneamente come fonte di energia rinnovabile. Le banche continuano a fornire prestiti e investimenti ai produttori di pellet e alle società energetiche che gestiscono centrali elettriche a biomassa forestale. In particolare quelle che mirano a convertire le centrali elettriche dal carbone alla biomassa, inquadrando ciò come parte della transizione verde. In realtà, la combustione di biomassa legnosa rilascia perfino più CO2 per unità di energia rispetto ai combustibili fossili, esacerbando la crisi climatica. Bruciare biomassa legnosa significa inoltre più disboscamento e maggiore conversione del terreno in piantagioni industriali su larga scala di alberi a crescita rapida come l’eucalipto, che creano “deserti verdi” con poca o nessuna fauna selvatica. 

Una recente indagine sul sito degli impianti di bioenergia in Finlandia ha mostrato come per la combustione venissero utilizzati tronchi di legno di alto valore (alberi!), invece di sottoprodotti industriali come la segatura, evidenziando un netto contrasto tra i messaggi di marketing delle aziende di bioenergia e la realtà. Altri scandali riguardano il più grande produttore mondiale di pellet, la britannica Drax, che cerca di procurarsi le sue materie prime dalla vecchia foresta della British Columbia, in Canada.

Anche gli istituti italiani finanziano la deforestazione

Il sostegno delle banche alla deforestazione è un problema tipicamente europeo: il recente rapporto “EU bankrolling ecosystem destruction” redatto da una coalizione di ong, tra cui Greenpeace, evidenzia come le istituzioni finanziarie dell’Unione europea, comprese quelle italiane, abbiano fornito crediti ed investimenti a società leader in settori legati alla distruzione degli ecosistemi, come per esempio quello lattiero-caseario, della mangimistica o dei biocarburanti. 

Tra gli istituti italiani, UniCredit spicca come il principale fornitore di linee di credito, con quasi 7 miliardi di dollari (6,4 miliardi di euro), seguito da Intesa Sanpaolo con 2,6 miliardi di dollari (2,4 miliardi di euro). Con 1,28 miliardi di dollari di investimenti, inoltre, la banca torinese è indicata come quella con investimenti più significativi nei principali attori operanti nei settori ad alto impatto sugli ecosistemi.